LIBRO SACRO DI ERMETE TRISMEGISTO DEDICATO AD ASCLEPIO ∗ (testo integrale)
Preliminari
Ermete
Trismegisto dal greco antico Ἑρμῆς ὁ Τρισμέγιστος, il tre
volte Grande (in latino Mercurius ter Maximus) è un personaggio leggendario di età
pre-classica venerato come maestro di sapienza. A lui è stata attribuita la fondazione della
corrente filosofica chiamata ermetismo.
Ermete Trismegisto è considerato il dio rivelatore della verità e
mediatore tra gli uomini e gli dèi.
Clemente di Alessandria riteneva che gli scritti sacri di
Ermete fossero quarantadue e contenessero il nucleo degli insegnamenti
formativi degli antichi sacerdoti faraonici sotto l’autorità di Thot.
A Ermete furono attribuite inoltre decine di migliaia di opere,
di grande antichità e immensa importanza, anteriori persino a Pitagora e
Platone, che da quei testi si sarebbero ispirati, e anche un insieme di scritti
iniziatici e filosofici, raccolti in epoca bizantina nel Corpus Hermeticum,
parte dei quali rinvenuti anche tra i Codici di Nag Hammadi e
risalenti intorno al IV secolo d.C.
Nel suo complesso, la letteratura ermetica è una categoria di
papiri contenenti incantesimi e procedure di iniziazione.
Testo integrale
1.
«Dio, o Asclepio, dio ti ha condotto a noi,
perché tu potessi partecipare a questo colloquio divino, un colloquio tale che
ben a ragione mi sembra essere, in virtù della sua scrupolosa devozione, più
divino di tutti quelli che abbiamo fatto precedentemente, più di quelli che la
potenza di dio ha ispirato in noi. Se sarà chiaro che tu lo comprendi, tutta la
tua mente sarà ricolma di tutte le cose buone, ammesso che le cose buone siano
molte, e non una sola, che le comprende tutte. Come si può vedere, l'uno è
coerente con il molteplice: tutto è dell'uno e l'uno è tutto1,
poiché l'una e l'altra realtà sono così collegate reciprocamente che l'una non
può essere separata dall'altra. Ma tu apprenderai tutto questo grazie ad una
attenta concentrazione sul discorso che staremo per fare. Ora va avanti un
poco, o Asclepio, e chiama Tat, perché si unisca a noi». Quando Tat fu entrato,
Asclepio suggerì che anche Ammone si unisse a loro. Il Trismegisto disse:
«Nessuna gelosia impedisce che Ammone si aggiunga a noi; anzi, noi ricordiamo
di aver scritto molte cose e di averle dedicate a lui, e di aver anche scritto abbondantemente
sulla natura e su argomenti di carattere particolareggiato2 per Tat,
il nostro carissimo figlio, che tanto ci ama3 . Ma questo trattato
sarà intitolato a te. Chiama solamente Ammone, e nessun altro, perché la
presenza e l'intrusione di molti profani non contaminino questo discorso così
religioso, dedicato ad un argomento così importante, ché sarebbe irriverente
quella mente che volesse render pubblico, perché conosciuto da molte persone,
un trattato così colmo della maestà assoluta che proviene da dio». Quando anche
Ammone fu entrato nel santuario, la devozione di quei quattro uomini e la
divina presenza del dio riempirono il luogo sacro: in doveroso silenzio le
menti e i pensieri di ciascuno di essi aspettavano con atteggiamento di
rispetto la parola che proveniva dalla bocca di Ermete. E così l'amore di dio4
cominciò a parlare:
2.
«Ogni anima umana è immortale, o Asclepio, ma
non tutte nella stessa maniera, bensì alcune in un certo modo e in un certo
tempo, altre in un altro»5. «Allora non è vero, o Trismegisto, che
tutte le anime siano della stessa qualità?». «O Asclepio, come hai fatto presto
a uscire dal retto sentiero del ragionamento! Non ti ho detto che tutto è Uno e
l'Uno è tutto, in quanto tutte le cose erano nel creatore prima che le creasse6?
Non senza motivo egli è stato detto 'tutto', dato che il tutto è le sue membra.
Durante tutta questa discussione, pertanto, fa' attenzione a ricordarti di
colui che, lui solo, è tutto e che è, sempre lui, il creatore del tutto. Dal
cielo tutte le cose vengono sulla terra e nell'acqua e nell'aria. Soltanto il
fuoco che si muove verso l'alto è datore di vita7, mentre quello che
si muove verso il basso è suo servo. Ma tutto quello che discende dall'alto ha
la proprietà di generare, mentre quello che si effonde verso l'alto ha la
proprietà di nutrire. La terra, che è la sola a rimanere ferma al suo posto, è
il ricettacolo di tutte le cose e la rinnovatrice di tutte le specie che ha
preso entro di sé. Pertanto questo è il tutto, come tu ti ricordi, perché
consiste in tutto ed è tutto. L'anima e la materia8, che la natura
abbraccia, sono mosse con la varia e multiforme qualità di tutte le immagini,
di modo che, nella discontinuità delle loro qualità, si conosce che le specie
sono infinite, sebbene unite perché possa essere evidente che l'Uno è tutto e
che il tutto deriva dall'Uno.
3.
Pertanto gli elementi dai quali è stata formata
la totalità della materia sono quattro: fuoco, acqua, terra, aria. Una sola è
la materia, una sola l'anima e uno solo Dio. Ora dedicami la tua attenzione,
tutta la forza della tua mente, tutta la tua intelligenza. La dottrina di dio,
la cui conoscenza richiede una concentrazione divina della nostra intelligenza,
è straordinariamente simile ad un torrente che scorre con violenza dall'alto,
precipitandosi e tutto trascinando a valle, cosicché la sua rapida violenza
oltrepassa la nostra concentrazione, non solo quando noi ascoltiamo, ma anche
quando ne discutiamo. Il cielo, che è il dio sensibile9, governa
tutti i corpi, la cui crescita e la cui decadenza sono stati affidati al sole e
alla luna. Ma dio, che è il loro creatore, è, a sua volta, governatore del
cielo e anche dell'anima stessa e di tutte le cose che sono nel mondo. Da tutte
queste cose, tutte governate dal medesimo dio, un effluvio incessante scorre
attraverso il mondo e attraverso l'anima di tutti i generi e di tutte le
specie, in tutta la natura. Dio preparò la materia perché fosse il ricettacolo
delle specie di ogni forma, mentre la natura, che conforma la materia mediante
le specie per mezzo dei quattro elementi, fa sì che tutte le cose giungano fino
al cielo, in modo da poter essere gradite agli occhi di dio.
4.
Tutte le
cose che dipendono dall'alto10, comunque, sono divise in specie, nel
modo che ora vado a spiegarti. Le specie di tutte le cose seguono i loro
generi, nel senso che il genere è la totalità, mentre la specie è una parte più
piccola del genere. Così il genere degli dèi produrrà da se stesso le specie
degli dèi. Il genere dei demoni, come quello degli uomini e, parimenti, quello
degli uccelli e di tutte le cose contenute nel mondo, produce delle specie che
gli assomigliano. Esiste anche un altro genere di esseri animati, privo di
anima e pure non sfornito di sensazione: così, esso ricava gioia dai benefici
che riceve, diminuzione e debolezza da tutto quello che gli è contrario. Sto
parlando di tutti quegli esseri che vengono alla vita nella terra, quando le
loro radici e le loro origini non subiscono danni; le loro specie sono state
sparse per tutta la terra. Il cielo stesso è pieno di dio. I generi di cui si è
detto, comunque, hanno le loro abitazioni fino ai luoghi che appartengono alle
loro specie, per cui le specie di tutte le cose non sono immortali. Ora, la
specie è parte di un genere, come un essere umano è parte dell'umanità, e deve
conformarsi alla qualità del suo genere. Pertanto, sebbene tutti i generi siano
immortali, avviene che non tutte le specie lo siano. Nel caso della divinità
sia il genere sia la specie sono immortali, mentre gli altri tipi di esseri, i
cui generi posseggono l'eternità nonostante che, ciascuno nella sua specie,
muoiano, si conservano grazie alla fecondità per cui sempre nascono. In tal
modo le specie sono mortali, mentre non lo sono i generi, cosicché un essere
umano è mortale, l'umanità è immortale.
5.
Tuttavia le specie di tutti i generi si
combinano con tutti i generi; alcune furono fatte prima, altre provengono da
quelle che furono fatte. Pertanto quelle specie che provengono dagli dèi o dai
demoni o dagli uomini sono tutte specie che molto assomigliano ai loro generi.
È impossibile che i corpi siano formati senza il volere di dio, che le specie
siano figurate senza l'aiuto dei demoni, e senza l'intervento degli uomini le
cose prive di anima non possono iniziare ed essere curate. Pertanto, tutti quei
demoni che escono dal loro genere per passare in una specie11 si
trovano ad essere congiunti ad una specie di genere divino e sono considerati
simili agli dèi grazie a questa affinità e a questa unione. Invece sono
chiamati 'amici degli uomini'12 quei demoni le cui specie persistono
nelle peculiarità del loro genere. Per gli esseri umani la spiegazione è
simile, ma più ampia. La specie del genere umano, infatti, è multiforme e
varia; e siccome anch'essa proviene dall'alto, cioè dalla associazione con la
specie or ora descritta, produce molti congiungimenti con tutte le altre specie
e, di necessità, li produce con quasi ogni specie. Di conseguenza, colui che si
sia unito agli dèi in divina devozione13, usando la sua mente, che
lo unisce agli dèi, si avvicina alla divinità, mentre uno che sia stato unito
ai demoni raggiunge la loro condizione. Gli esseri umani sono quelli che
rimangono contenti della condizione del loro genere, che è intermedio14,
e tutte le altre specie degli uomini saranno simili a quei generi alle cui
specie essi si sono congiunti.
6.
Per
questo motivo, o Asclepio, l'uomo è un grande miracolo, un essere vivente che
deve essere oggetto di reverenza e di onore. Egli, infatti, passa nella natura
di dio, come se lui stesso fosse dio; conosce il genere dei demoni, in quanto
riconosce che ha avuto origine insieme con loro; disprezza la parte di sé che è
di natura umana, in quanto ha posto la sua fiducia nell'altra, che è di natura
divina. Quanto più felice è la natura composita dell'uomo! Congiunto agli dèi
da una natura divina, ad essi affine, egli disprezza nel suo intimo quella
parte di sé nella quale è terreno. Tutte le altre sostanze le trae a sé con un
legame di affetto, perché riconosce la sua parentela con esse, che è
conseguenza di un ordine divino. Leva lo sguardo al cielo15. Così,
dunque, l'uomo è stato collocato nella posizione più felice, che è quella
intermedia, sì che egli ama quegli esseri che stanno sotto di lui ed è oggetto
di amore da parte di quelli che stanno sopra di lui. Coltiva la terra; si
mescola agli elementi con la velocità del pensiero; si immerge nelle profondità
del mare con la acutezza della sua mente. Ogni cosa gli si dischiude: il cielo
stesso non gli sembra troppo alto, poiché egli lo misura nella sua
intelligenza, come se gli fosse vicino. Nessuna nebbia offusca la
concentrazione del suo pensiero; lo spessore della terra non impedisce la sua
opera; nessuna profondità di abissi di mare ottunde la sua vista, che guarda
dall'alto. Egli è ogni cosa ed è dappertutto16. Di tutti questi generi17, quelli
che sono stati dotati di anima possiedono delle radici che giungono fino a loro
provenendo dal basso18, mentre i generi delle cose senz'anima19
vivono a mo' di selve e si di partono da una radice che cresce dal basso verso
l'alto. Alcuni si nutrono di un cibo composto di due elementi, altri di un cibo
semplice. I tipi di cibo sono due: uno per l'anima, l'altro per il corpo, cioè
per le due sostanze delle quali consistono gli esseri viventi. Le anime si
nutrono del mai fermo movimento del mondo. I corpi crescono grazie all'acqua e
alla terra, che sono il cibo del mondo inferiore. Lo spirito che riempie tutto20
si mescola ad ogni cosa e dà vita ad ogni cosa, mentre l'intelletto si aggiunge
alla capacità di comprendere, che l'uomo possiede: esso costituisce la quinta
parte, che è stata donata all'uomo soltanto e proviene dall'etere. Tra tutte le
cose viventi, l'intelletto arricchisce solamente gli uomini e li solleva alla
comprensione del pensiero di dio; dona loro una posizione eretta e li tiene
diritti21. Ma poiché mi viene in mente di parlare dell'intelletto,
ne darò una spiegazione un poco più avanti. Si tratta di un importante
argomento, molto sacro, non meno della spiegazione che riguarda il dio stesso.
Ma ora lascia che io finisca per te quello che ho iniziato.
7.
Proprio
all'inizio io stavo parlando di quel congiungimento con gli dèi del quale
solamente gli uomini godono appieno, in quanto donato agli uomini dagli dèi: mi
riferisco a quegli uomini che si sono procurata tanta felicità da ottenere
quell'intelletto che permette di comprendere gli dèi, l'intelletto più divino,
che esiste solamente in dio e nella facoltà umana di comprendere».
«L'intelletto, allora, non è della stessa forma in tutti, o Trismegisto?». «Non
tutti hanno ottenuto la vera capacità di comprendere, o Asclepio22.
Gli uomini si ingannano, inseguendo per errore, in seguito a precipitoso
impulso e senza la dovuta considerazione della ragione, un'immagine che fa
sorgere nella loro mente la malvagità e trasforma il migliore essere vivente in
una natura bestiale, capace di atteggiamenti brutali. Quando parlerò
dell'intelletto, ti darò un'esauriente spiegazione dell'intelletto e dei
problemi ad esso relativi. L'uomo, infatti, è l'unico essere animato che sia
duplice: una parte di esso è semplice, quella che i Greci chiamano ousiodes, e
che noi chiamiamo 'forma della somiglianza con dio'23. Quella che i
Greci chiamano hylikòs e che noi chiamiamo 'materiale' è quadruplice24.
Di essa è formato il corpo, il quale copre quell'elemento dell'uomo che noi
abbiamo già detto essere divino25; in esso la natura divina della
mente pura, insieme con le sostanze a lei affini, intendo dire i pensieri della
mente pura, sta sola con se stessa, protetta dal corpo come da una muraglia».
«Perché, allora, o Trismegisto, gli esseri umani sono stati collocati nel
mondo? Perché non vivono, godendo della massima felicità, nelle regioni dove si
trova dio?». «Giusta è la tua domanda, o
Asclepio. Anche noi, pertanto, preghiamo dio di procurarci la forza per trovare
il motivo di questo fatto. Sebbene ogni cosa dipenda dalla volontà di dio,
comunque dipendono da essa soprattutto quelle cose che riguardano la sommità
del tutto: di questa realtà noi cerchiamo di investigare le ragioni nella
ricerca presente.
8.
Ascolta,
dunque, o Asclepio. Quando il signore e creatore di tutte le cose, che noi con
ragione chiamiamo 'dio', ebbe creato l'altro dio che è secondo dopo di lui, il
dio che può essere visto e sentito26 (io chiamo questo secondo dio
'sensibile' non perché senta, ma perché colpisce i sensi di coloro che lo
vedono: la questione se egli senta o no, la discuteremo in un altro momento),
allora, poiché ebbe creato questo dio come primo da sé e secondo dopo di sé,
esso gli parve bello, in quanto era colmo della bontà di ogni cosa, e dio l'amò
perché era la progenie della sua natura divina. Allora, siccome era così grande
e buono27, dio volle che ci fosse un altro essere che ammirasse
quello che egli aveva creato da se stesso: così, immediatamente dio creò
l'uomo, imitatore della sua ragione e del suo amore. La volontà di dio è, di
per sé, perfetto compimento, dal momento che la volontà e il compimento hanno
attuazione contemporaneamente28. E così dio, dopo che ebbe creato
l'uomo ousiodes e si fu accorto che esso non avrebbe potuto prendersi cura di
ogni cosa se non fosse stato avvolto di una copertura materiale, lo protesse
con una casa corporea e volle che tutti gli esseri umani fossero come questo,
mescolando e combinando le due nature in una secondo le loro giuste
proporzioni. Perciò dio formò l'uomo con la natura dell'anima e la natura del
corpo, cioè con quella eterna e con quella mortale, cosicché l'essere animato
così conformato potesse soddisfare ad entrambi i suoi principi, guardando con
stupore gli esseri che sono nel cielo29 e adorandoli, curando gli
esseri mortali e governandoli. Ma ora io definisco 'mortali' non l'acqua e la
terra, che sono due tra i quattro elementi che la natura sottomise all'uomo,
bensì quello che gli uomini hanno fatto da essi o in essi: l'agricoltura, la
pastorizia, la costruzione di edifici, i porti, la navigazione, i rapporti
sociali, gli scambi reciproci, che costituiscono il legame più forte tra tutti
gli uomini o tra l'uomo e la parte del mondo che è fatta con l'acqua e la
terra. L'uomo, apprendendo le arti e le scienze e servendosi di esse, conserva
questa parte del mondo che è costituita dalla terra: dio volle che, senza le
arti e le scienze, il mondo rimanesse imperfetto. La necessità consegue,
infatti, a quello che dio vuole; l'effetto deriva dal suo volere30.
Che qualche cosa voluta da dio dovesse poi dispiacergli, non è credibile, dal
momento che egli avrebbe dovuto sapere già molto tempo prima che egli l'avrebbe
voluta e che essa sarebbe accaduta.
9.
Ma io mi
accorgo, o Asclepio, con quale impaziente desiderio della tua mente tu ti
affretti ad apprendere come il genere umano possa esercitare la cura e l'amore
del cielo e delle cose che ivi si trovano. Ascolta, dunque, Asclepio. Amare il
dio del cielo e tutto quello che il cielo contiene non può significare altro
che un costante, assiduo servizio. Ad esclusione del genere umano soltanto,
nessun essere vivente, né divino né mortale, ha mai prestato questo servizio.
Il cielo e gli dèi del cielo si dilettano della meraviglia, della adorazione,
della lode e del servizio che proviene dagli esseri umani. E non senza motivo
il dio supremo ha inviato qua in terra, dagli uomini, il coro delle Muse:
bisognava che il mondo terreno non mancasse della dolcezza della musica e non
sembrasse, di conseguenza, meno civile; invece, con musicali melodie create
dagli uomini si esalta e si glorifica colui che, lui solo, è il tutto ed è il
padre di tutte le cose, e così alla lode del cielo nemmeno in terra manca la
dolcezza dell'armonia. Pertanto alcuni uomini, che sono veramente pochissimi,
ebbero in sorte, perché dotati di mente pura, il venerabile compito di levare
lo sguardo in alto verso il cielo31. Quelli invece che rimangono
indietro, ad un più basso livello di comprensione, per il peso del loro corpo e
per il fatto che la loro natura è stata mescolata insieme da due nature, hanno
avuto il compito di occuparsi degli elementi e degli oggetti più bassi. L'uomo
è un essere vivente, pertanto, ma non inferiore per il fatto che è in parte
mortale; infatti, è per uno scopo preciso che è stato dotato della condizione
mortale, e quindi è stato creato composto in modo più funzionale ed efficace di
tutti gli altri esseri animati. Se l'uomo non fosse stato fatto di entrambe le
materie, non sarebbe stato capace di assolvere ad entrambi i compiti; così fu
fatto di entrambe, perché avesse cura delle cose terrene e amasse la divinità.
10.
La
filosofia contenuta nella seguente discussione, o Asclepio, io voglio che tu
l'afferri bene, non solo mediante una penetrante riflessione, ma anche con
l'ardore dell'animo. Questa filosofia sembra incredibile alla maggior parte
della gente, ma le menti più sante dovrebbero apprenderla come giusta e vera.
Cominciamo, dunque, da questo punto. Il signore dell'eternità è il primo dio,
il mondo è il secondo, l'uomo è il terzo32. Dio è il creatore del
mondo e di tutto quello che esso contiene, e governa tutte le cose insieme con
l'uomo stesso, il quale governa il mondo che è stato messo insieme da dio. Avendo
la responsabilità di tutto questo, che è il compito specifico della sua
attenzione (cioè quello di dedicarsi all' amore per il mondo), l'uomo fa in
modo che egli e il mondo siano ornamenti l'uno dell'altro33,
cosicché, in seguito a questa sua divina composizione, l'uomo è detto kosmos in
greco, o anche 'mondo', come diciamo noi. L'uomo conosce se stesso e conosce
anche il mondo, evidentemente perché si ricordi del suo compito e riconosca di
quali cose debba servirsi e a quali debba servire. Così facendo, l'uomo rende a
dio i massimi ringraziamenti e i massimi onori, onorando la sua immagine; non
ignora che anch'egli è la seconda immagine di dio, perché dio ha due immagini:
il mondo e l'uomo34. Pertanto, sebbene l'uomo sia un'unica
compaginazione, avviene che nella parte in cui è composto di anima e di
intelligenza, egli sia divino grazie al soffio vitale e alla ragione, e quindi,
in quanto composto di elementi superiori, possa ascendere fino al cielo. Ma
nella sua parte materiale, che consiste di fuoco e di terra, di acqua e di
aria, l'uomo rimane fisso sulla terra, per non lasciare abbandonate e deserte
tutte quelle cose che sono state affidate alla sua cura. Pertanto l'uomo è
stato fatto divino in una parte, mortale nell'altra, quella che risiede in un
corpo.
11.
Per l'una e per l'altra parte di lui, cioè per
l'uomo, la massima regola è la devozione, da cui discende la bontà. La bontà è
considerata perfetta solo quando è fortificata dalla virtù del disdegno, che
respinge il desiderio di tutte le cose che non ci appartengono. Ogni possesso
terreno, che ci si è procurato in conseguenza di un desiderio corporeo, è
estraneo ad ogni parte del corpo che implica questa parentela dell'uomo con
dio. Chiamare 'possesso' queste cose, è giusto, perché esse non sono nate insieme
con noi, come il corpo, ma risultano essere possedute da noi successivamente,
per cui noi le chiamiamo con il termine di 'possesso'. Ognuna di esse,
pertanto, è estranea all'uomo, e lo è persino il corpo, per cui noi dovremmo
disprezzare sia le cose che desideriamo sia la fonte, interna a noi, del vizio
del desiderarle. Seguendo questa argomentazione sono condotto a pensare che
l'uomo dovrebbe essere uomo35 fino al punto che, contemplando la
divinità, sdegnasse e tenesse in non cale quella parte mortale che è stata
unita a lui in seguito alla necessità, che gli è stata imposta, di reggere il
mondo inferiore. Ora, affinché l'uomo potesse essere completo in entrambe le
sue parti, osserva che esso fu formato in entrambe da una quaterna di elementi:
con le mani e i piedi, che sono in numero di due, e con le altre membra del
corpo, allo scopo di servire il mondo inferiore, cioè questo mondo terreno; poi
con queste quattro parti, cioè il pensiero, l'intelletto, la memoria e la
previdenza, per mezzo delle quali egli conosce tutte le cose divine e le
ammira. Pertanto, indagando attentamente, l'uomo ricerca le diversità, le
qualità, gli effetti e le quantità delle cose, e tuttavia, poiché il pesante ed
eccessivo vizio del suo corpo lo grava a terra, egli non può distinguere con
esattezza le vere cause dei fenomeni naturali. Pertanto, dal momento che l'uomo
fu creato e conformato in questo modo ed il dio sommo gli affidò tale compito e
tale mansione, se egli osserva l'ordine del mondo in modo ordinato, se adora
dio con devozione, adattandosi doverosamente e conformemente al volere di dio
in entrambi i compiti, quale premio credi tu che un essere simile debba
meritare? Ché vedendo che il mondo è l'opera di dio, colui che con la sua
dedizione ne protegge e arricchisce la bellezza conforma la propria opera alla
volontà di dio, quando, dedicando il proprio corpo al lavoro e alla cura
giornaliera, egli costruisce quella bellezza che dio stesso ha formato seguendo
il suo piano divino. Non dovrà forse, costui, avere il premio che ebbero i
nostri genitori e che uno desidererebbe, con la preghiera più ardente, che ci
venisse assegnato, se questa fosse cosa gradita alla pietà divina? Si tratta,
insomma, del premio di essere liberati, una volta terminato il nostro servizio,
dalle catene del carcere del mondo36, di sciogliere i legami con la
condizione mortale, cosicché dio possa restituirci, puri e santi, alla natura
della nostra parte migliore, cioè della parte più divina».
12.
«Giusto e
vero è quello che tu dici, o Trismegisto». «Certamente, questa è la ricompensa
per coloro che vivono nutrendo la loro fede in obbedienza a dio e prestando
ogni attenzione al mondo. Invece a coloro che sono vissuti diversamente e senza
fede è negato il ritorno al cielo, ed una orribile trasmigrazione, indegna di
un'anima santa, li collocherà in altri corpi37». «Stando a quello
che ci ha spiegato lo schema del tuo discorso, o Trismegisto, sembra che le
anime corrano un grande rischio in questa vita terrena, per quel che riguarda
la speranza dell'eternità a venire». «Certamente, ma questo discorso alcuni lo
trovano incredibile, altri inventato, altri, forse, risibile. Ché in questa
vita corporea il piacere che uno ricava dal possedere la ricchezza è un
godimento, ma questo godimento trattiene l'anima obtorto collo, come si suol
dire, e tiene l'uomo fisso a quella parte di sé per cui è mortale, e la
malvagità, che è di ostacolo all'immortalità, non gli lascia riconoscere la
parte di natura divina che è in lui. Infatti parlando quasi in maniera profetica,
ti dirò che dopo di noi non rimarrà nessuno che avrà l'amore disinteressato,
che è quello per la filosofia, la quale si trova solamente nella continua
riflessione e nella santa devozione per mezzo della quale si deve conoscere la
esistenza di dio38. Molte persone, infatti, e in molti modi
corrompono la filosofia». «Cos'è quello che i molti fanno, per rendere
incomprensibile la filosofia? Come possono essi corromperla in molte maniere?».
13.
«In
questo modo, o Asclepio: combinandola, mediante ingegnose argomentazioni, con
varie discipline, che non sono comprensibili, come la matematica, la musica e
la geometria39. Invece la pura filosofia, che dipende solamente
dalla devozione verso dio, dovrebbe badare a queste altre discipline solamente
per guardare con meraviglia i ciclici ritorni delle stelle al loro punto di
partenza, le loro stazioni predeterminate e come le loro orbite si basino sui
numeri; dovrebbe imparare, e meravigliarsene, le dimensioni, le qualità e
l'estensione della terra, le profondità del mare, il potere del fuoco e gli
effetti e la natura di tutte le cose del genere, allo scopo di esaltare e
venerare la perfezione e la mente di dio. Il conoscere la musica, del resto,
non è altro che essere versato nell'ordine di tutte le cose e nel conoscere
come le ha prese in sorte la razionalità divina, ché l'ordine delle singole
cose, portato all'unità del tutto dalla ragione creatrice, produce per mezzo di
una musica divina un concento dolcissimo e verissimo40.
14.
Di
conseguenza, le persone che verranno dopo di noi, ingannate dalla astuzia dei
sofisti, si allontaneranno, nel loro traviamento, dalla vera, pura e santa
filosofia. Adorare dio con mente e animo semplice e onorare le sue opere,
rendere grazie, anche, alla volontà di dio (che, essa sola, è completamente
piena di bontà), questa è una filosofia non profanata da un pensiero
inopportunamente curioso41. E questa è la nostra spiegazione di
siffatti problemi. A partire da questo punto, cominciamo a considerare il
soffio vitale e gli argomenti affini. Esistevano42 dio e la hyle,
con cui noi intendiamo quello che i Greci intendono per la materia43,
e il soffio vitale44 accompagnava la materia, o piuttosto era nella
materia, ma non era nella materia nello stesso modo in cui è in dio né nel modo
in cui sono in dio le cose dalle quali è stato costituito il mondo. Poiché
queste cose non erano giunte all'essere, esse non esistevano ancora, ma per
allora esse erano di già in colui dal quale sarebbero dovute nascere45.
Si dice, infatti, che sono 'non nate' non solo quelle che non sono ancora
giunte all'essere, ma anche quelle che non posseggono la facoltà generatrice,
cosicché niente può giungere all'essere da esse. Qualunque siano le cose,
dunque, nelle quali è presente la forza di generare, esse sono generatrici
perché da esse può nascere qualche cosa, anche se quelle cose sono nate da se
stesse (ché non vi è alcun dubbio che dalle cose che sono nate da se stesse
possono facilmente nascere quelle da cui tutte le cose nascono). Pertanto il
dio sempiterno, il dio eterno non può, e nemmeno avrebbe potuto, giungere a
nascere; questo essere è, questo essere era, questo essere sempre sarà. Questa
è la natura di dio, quindi, che proviene completamente da sé. Ma la hyle (ovverosia
la natura della materia) e il soffio vitale, sebbene si veda che non sono
venuti all'essere dall'inizio, cionondimeno posseggono in se stessi il potere e
la natura di venire all'esistenza e di procreare. Ché l'inizio della fecondità
giace nelle peculiarità della natura, la quale possiede in se stessa il potere
e la materia per concepire e dare la nascita. La natura, pertanto, può generare
da sola senza concepire ad opera di un altro.
15.
Al
contrario, le cose che hanno il potere di generare solo accoppiandosi con altre
devono essere distinte dalle precedenti nel senso che questo luogo in cui è il
mondo, insieme con quello che esso contiene, si vede che è nato, in quanto
anch'esso possiede in se stesso il potere della natura nel suo complesso46.
Con il termine 'luogo' io intendo quello in cui sono tutte le cose, perché
nessuna di esse potrebbe esistere se le
fosse mancato il posto in grado di sostenerle tutte, ed un posto doveva essere
dato a tutte le cose che dovevano giungere all'esistenza. Il fatto è che se le
cose non fossero in nessun posto, non si potrebbero distinguere le loro
qualità, quantità, posizioni o effetti. Pertanto, sebbene la materia non sia
giunta all'esistenza, cionondimeno possiede entro se stessa le nature di tutte
le cose, in quanto procura loro un grembo fertilissimo per concepirle. Il
complesso delle qualità della materia, pertanto, è questo: essa è capace di
creare, anche se non è stata creata. Come nella natura della materia esiste la
qualità di essere fertile, così la medesima materia è anche ugualmente fertile
nella malvagità47.
16.
Pertanto,
o Asclepio e Ammone, io non ho detto quello che dice la maggior parte della
gente: «dio non avrebbe potuto troncare il male ed eliminarlo dalla natura?».
Questa gente non merita neppure una risposta, ma per amor tuo tratterò
parimenti la questione, dal momento che l'ho sfiorata, e te ne darò la
spiegazione. Ora, questa gente dice che dio avrebbe dovuto liberare il mondo da
ogni sorta di male: il male, infatti, si trova nel mondo a tal punto che sembra
essere quasi un membro di esso. Agendo però nel modo più razionale possibile,
il dio supremo fece attenzione e prese provvedimenti contro il male, quando si
degnò di donare alla mente dell'uomo l'intelletto, la scienza e la comprensione48,
perché è solo con questi doni che noi siamo superiori agli altri esseri
viventi, sì da evitare le frodi, gli inganni e i vizi del male. Colui, infatti,
che li evita al solo vederli, prima che essi lo afferrino, è stato fortificato
dall'intelligenza e dalla provvidenza divina, poiché la base dell'apprendimento
risiede nella suprema bontà di dio. Il soffio vitale, invece, governa e
rafforza tutte le cose che sono nel mondo; come uno strumento o un meccanismo,
per così dire, il mondo è soggetto alla volontà del dio supremo49.
Per adesso, questa sia la nostra spiegazione di siffatte questioni. Compreso
solamente dall'intelletto, il dio chiamato 'sommo' è reggitore e governatore di
quel dio sensibile50 che racchiude al proprio interno ogni luogo,
ogni sostanza di cose, tutta la materia delle cose che producono e procreano,
tutto quello che esiste, qualunque e comunque esso sia.
17.
Ma il
soffio vitale muove e governa tutte le specie che sono nel mondo, ciascuna in
accordo con la propria natura, che ha avuto in sorte da dio. La hyle o materia,
comunque, è il ricettacolo e il movimento e la congiunzione di tutte le cose51,
e dio governa tutte le cose che sono nel mondo, attribuendo a tutte ciò di cui
ciascuna abbisogna. Egli le riempie tutte con il soffio vitale, insufflandolo
in ciascuna cosa, secondo le qualità di ciascuna natura. In effetti la massa
del mondo, vuota al suo interno, è in forma di sfera, e non può, a causa della
sua qualità e della sua forma, essere completamente visibile52.
Scegli qual si voglia luogo sulla sfera, dal quale guardare in basso, e tu non
potrai vedere da esso il fondo. Per questo motivo molti credono che il mondo
possieda la medesima qualità e caratteristica del luogo. Si ritiene che tale
sfera sia visibile in un certo senso, ma solo per mezzo delle forme delle varie
specie, le cui immagini sono in lei stessa impresse e la caratterizzano, come
quando uno vede un quadro dipinto. In se stessa, tuttavia, rimane sempre
invisibile. Pertanto la parte bassa di essa (ammesso che si possa parlare di
una parte bassa o di un luogo basso in una sfera) è chiamata Aides in greco,
poiché in greco il vedere è detto idein e non vi è nessuna possibilità di
vedere il fondo di una sfera53. E per questo motivo le forme sono
chiamate 'idee', poiché sono forme visibili. La regione chiamata Aides in
greco, poiché è privata di ogni visibilità, è chiamata 'Inferi' in latino,
poiché essa è al fondo della sfera54. Questi dunque, sono i punti
principali e più antichi, le basi, per così dire, e le fonti del tutto, poiché
tutte le cose sono in essi o sono attraverso di essi o provengono da essi».
18.
«Tutte
queste cose delle quali tu parli, o Trismegisto, di che natura sono?».
«L'intera sostanza di tutte le specie che sono nel mondo e quella di ciascuna
di esse, così come essa è, è, si può dire, materiale. La materia nutre i corpi
e il soffio vitale nutre le anime55. Ma l'intelletto, che per dono
divino costituisce la felicità per l'umanità soltanto - e non per tutti gli
uomini, ma solamente per quei pochi che hanno la mente in grado di contenere un
così grande beneficio, perché, come il sole illumina il mondo, così la mente
umana brilla con la luce dell'intelletto, e forse anche di più; infatti,
qualunque cosa il sole illumini, essa è privata talvolta della sua luce a causa
dell'inframmettersi della terra56 e della luna e della oscurità che
sopraggiunge; invece l'intelletto, una volta che si è unito con l'anima umana,
diventa una sola realtà materiale in seguito al perfetto amalgamarsi dei due
elementi, cosicché le menti così conformate non sono mai ostruite dalla
oscurità degli errori. Hanno ragione pertanto quelli che hanno detto che
l'anima degli dèi è intelletto57, anche se io dico che non si tratta
dell'anima di tutti gli dèi, ma solo dell'anima degli dèi più grandi e
principali».
19.
«Quali
sono gli dèi che tu intendi come le fonti delle cose, o i principi primordiali,
o Trismegisto?». «Dopo aver implorato il favore del cielo, comincio a
manifestarti grandi cose e ad esporti misteri divini. Esistono molti generi di
dèi, dei quali una parte è intelligibile, l'altra sensibile. Non si parla di
'dei intelligibili' nel senso che essi siano considerati al di là dei nostri
sensi; in effetti, noi conosciamo questi dèi intelligibili più di quelli che chiamiamo
visibili, come tu potrai vedere dalla nostra discussione e come tu stesso, se
farai attenzione, potrai perfettamente comprendere. Ché questa filosofia
veramente sublime, e appunto per questo motivo più divina, rimane al di là del
pensiero e degli sforzi intellettuali dell'uomo, e, se le tue orecchie non
accolgono le mie parole con conveniente atteggiamento, essa volerà oltre e
scorrerà al di là di te, o piuttosto tornerà indietro verso se stessa,
mescolandosi con le correnti della sua fonte. Dunque, per tutte le specie vi
sono degli dèi principali, e dopo di essi vengono gli dèi la cui sostanza ha un
capo58; questi sono gli dèi sensibili, simili ad entrambe le loro
origini59; producono ogni cosa per tutta la natura sensibile, una
cosa attraverso l'altra, in quanto ogni dio illumina la sua opera. L'ousiarches
del cielo (qualunque sia l'essere che è significato da questa parola) è Giove,
poiché Giove fornisce la vita a tutte le cose attraverso il cielo. La luce è
l'ousiarches del sole, poiché quel bene che è la luce si riversa su di noi
attraverso il disco del sole. I trentasei, il cui termine specifico è
'oroscopi', cioè le stelle che sono sempre fisse al medesimo posto, hanno come
loro capo o ousiarches quello che è chiamato Pantomorphos o 'Onniforme', il
quale dà varie forme a ciascuna specie. Le cosiddette sette sfere hanno come
loro ousiarchi o loro capi quello che è chiamato Fortuna o Heimarmene, ad opera
della quale tutte le cose cambiano, conformemente alla legge di natura e ad un
ordine assolutamente fisso, che tuttavia è mosso in sempiterno cangiamento.
L'aria, invece, è lo strumento o il meccanismo di tutti gli dèi, quello
attraverso il quale tutte le cose sono fatte; il suo ousiarches è il secondo...60
alle cose mortali il mortale e ad essi il loro simile. Stando così le cose, dal
momento che gli uni si muovono verso l'alto provenendo dal basso, tutto è
collegato in reciproci collegamenti, nel senso che... Ma... i mortali sono
attaccati agli immortali e i sensibili agli insensibili. Ed il complesso
obbedisce al supremo reggitore, al padrone, cosicché in realtà non esiste una
molteplicità, ma, piuttosto, un'unità. In effetti, tutto dipende dall'uno e
deriva da esso, nonostante che tutte le cose sembrino separate e siano
considerate molte. Considerate insieme, tuttavia, esse sono un'unità, o
piuttosto una duplicità, a partire dalla quale e dalla quale tutte le cose sono
state fatte: vale a dire, la materia, da cui esse sono state fatte, e la
volontà di colui il cui decreto le rende differenti le une dalle altre».
20.
«Ancora
una volta, o Trismegisto, che cosa significa questa dottrina?». «Questo, o
Asclepio. Dio, o il padre o il signore dell'universo o qualunque sia il nome
che la gente usa attribuire a quanto vi è di più santo e di venerabile, un nome
che dovrebbe essere sacro tra di noi, a causa di quello che comprendiamo di lui
- data la grandezza dell'essere divino, nessuno dei nomi che conosciamo lo
definisce esattamente61; se la parola è un suono che in seguito al
colpo impresso all'aria dal nostro fiato62 manifesta la volontà di
una persona o il suo intendimento, che eventualmente sia stato concepito in
seguito alle sensazioni; e se la sostanza del nome, nel suo complesso, composta
di poche sillabe, è definita e circoscritta, perché abbia luogo lo scambio
necessario tra la voce umana e l'ascolto, allora il complesso del nome di dio
include contemporaneamente il significato e il soffio e l'aria e tutto quello
che si trova in queste tre cose o si attua attraverso di esse o deriva da esse.
No, io non mi illudo di nominare il fattore della maestà dell'universo, il
padre ed il signore di tutte le cose con un solo nome, nemmeno con un nome
composto di molti nomi. Egli è senza nomi, o, piuttosto, è tutti i nomi63,
dal momento che egli è uno e tutti, cosicché uno deve chiamare tutte le cose
con il suo nome o chiamare lui con il nome di tutte le cose. Questo dio,
dunque, che è solo e tutti, completamente pieno della fertilità che posseggono
entrambi i sessi64 e sempre pregno della sua volontà, sempre genera
tutto quello che desidera procreare. La sua volontà è tutta quanta bontà65.
Dalla sua natura divina è nata proprio questa bontà, che si trova in tutte le
cose, cosicché tutto ha potuto essere come effettivamente è ed era e a tutte le
cose che dovranno esistere esso può procurare il potere di venire ad esistere
per proprio conto. Questa spiegazione ti sia data, o Asclepio, del motivo e del
modo in cui tutte le cose sono fatte».
21.
«Tu intendi dire che dio possiede l'uno e
l'altro sesso, o Trismegisto?». «Non soltanto dio, o Asclepio, ma tutti gli
esseri animati e inanimati, perché è impossibile che qualsivoglia cosa che
esiste non sia feconda. Se tu togli la fecondità a tutte le cose che ora
esistono, sarà impossibile che le cose che sono siano sempre. Io dico che la
sensazione e la crescita si trovano anche nella natura delle cose, e che il
mondo contiene la natura al suo interno e conserva tutte le cose che sono nate,
in quanto ognuno dei due sessi è pieno di fecondità ed il congiungi mento dei
due, o, per parlare più esattamente, la loro unificazione è qualcosa di
incomprensibile. Se tu la chiami Cupido o Venere o entrambi, tu non sbaglierai.
Afferra tutto questo nella tua mente, in quanto è la dottrina più vera e più
chiara di ogni altra, e cioè che dio, questo signore del complesso della
natura, progettò e garantì per l'eternità a tutte le cose questo mistero della
procreazione, e in questo mistero sono innati l'affetto più forte, il piacere,
il diletto, il desiderio e l'amore divino. Bisognerebbe spiegare quanto è
grande la forza e l'impulso di questo mistero66, se non fosse che
ognuno già la conosce dalla considerazione di se stesso e dalla propria interna
coscienza. Ché se tu consideri il momento finale al quale giungiamo dopo un
costante sfregamento, quando ognuna delle due nature versa i propri semi nell'altra
ed ognuna con violenza afferra il piacere dall'altra e lo ripone profondamente
entro di sé, esattamente in quel momento, in seguito al comune congiungimento,
le femmine ottengono la potenza del maschio ed i maschi sono esausti in seguito
nel torpore delle femmine. Pertanto l'atto di questo mistero, così dolce e
necessario, è fatto in segreto, cosicché la divinità che si trova in entrambe
le nature non sia costretta a sentire la vergogna per l'unione dei due sessi, a
causa del riso del volgo ignorante, se essa fosse resa pubblica, o, quel che è
peggio, se fosse esposta alla vista di gente empia.
22.
Perché al
certo le persone pie non sono molte67: sono soltanto poche, e il
loro numero nel mondo può essere contato, per cui avviene che il male rimane
nella folla della gente, perché ad essa mancano la sapienza e la conoscenza di
tutte le cose che esistono. Il disprezzo dei vizi della materia, e il rimedio
di essi, proviene dal conoscere il piano divino dal quale tutte le cose sono
state create. Ma quando l'ignoranza e la follia persistono, tutti i vizi si
rafforzano e feriscono l'anima con mali incurabili. Infettata e corrotta da
essi, l'anima si gonfia come per l'effetto di un veleno, tranne le anime di
coloro che posseggono l'efficacissimo rimedio costituito dall'apprendimento e
dalla comprensione. Pertanto, dal momento che questo rimedio è destinato
solamente ai pochi, sarà opportuno proseguire e finire questo trattato, che
spiega perché il dio si è degnato di donare la comprensione e l'apprendimento
di sé agli uomini soltanto. Ascolta, dunque. Dio, il padre e signore, creò per
primi gli dèi e quindi gli uomini, prendendo porzioni uguali dalle parti più
corrotte della materia e dalla natura divina: così è accaduto che i vizi della
materia rimanessero uniti ai corpi, insieme con gli altri vizi causati dal cibo
e dal nutrimento, che noi siamo obbligati a condividere con tutti gli esseri
animati. Pertanto era inevitabile che la brama del desiderio e gli altri vizi
della mente si depositassero nelle anime umane. Sebbene l'immortalità e
l'indefettibile energia, insite nella loro vita perfettamente uguale,
costituiscano per gli dèi la prudenza e la capacità di apprendimento, poiché
gli dèi furono formati della parte più pura della natura68 e non avevano nessun
bisogno dell'aiuto della ragione e dell'apprendimento, comunque, siccome il suo
piano era unitario, dio stabilì con legge eterna un ordine di necessità fissato
dalla legge, che fungesse da apprendimento e comprensione, perché gli dèi non
ne fossero privi. Infatti dio distinse l'uomo tra tutti gli esseri viventi
soltanto per mezzo della ragione e dell'apprendimento, per mezzo dei quali gli
uomini potessero allontanare da sé e respingere i vizi del corpo, e fece sì che
essi raggiungessero l'immortalità, in cui speravano e a cui tendevano. In
breve, servendosi di entrambe le nature, quella divina e quella mortale, dio fece l'uomo buono
e capace di raggiungere l'immortalità, e così per volontà di dio fu disposto
che l'umanità fosse fatta migliore degli dèi69, in quanto gli dèi
furono formati solamente della natura immortale, e migliore, parimenti, degli
altri esseri mortali. Di conseguenza, siccome è congiunto agli dèi con vincoli
di parentela, l'uomo onora gli dèi con mente reverente e santa, e gli dèi, allo
stesso modo, mostrano interesse per tutte le cose umane e le curano con
sentimenti d'amore.
23.
Ma uno potrebbe dire queste cose solamente a
proposito di quelle pochissime persone che hanno avuto in dono una mente pia.
Di coloro, invece, che sono in preda ai vizi, non dire niente, per non
profanare questo santissimo discorso prendendoli in considerazione. E dal
momento che ci viene proposto di parlare della parentela e dell'unione tra gli
uomini e gli dèi, o Asclepio, tu devi riconoscere il potere e la forza della
natura umana. Come il signore e padre - o dio, per usare questo nome augusto -
è il creatore degli dèi del cielo, così è l'uomo, il quale forma gli dèi dei
templi70, che sono contenti di abitare vicino agli uomini. Non
soltanto riceve la luce, l'uomo, ma, parimenti, dona la luce; non solamente
progredisce verso la perfezione di dio, ma anche rende forti gli dèi. Ti
meravigli, o Asclepio? O forse nemmeno tu mi credi, come fanno tanti?». «Sono
confuso, o Trismegisto, ma ben volentieri presto fede a quello che dici, e
trovo che l'uomo è estremamente fortunato per aver raggiunto tale felicità».
«L'uomo sicuramente merita ammirazione, in quanto è il più grande di tutti gli
esseri71. Tutti ammettono senza difficoltà che la razza degli dèi è
originata dalla parte più pura della natura e che i loro segni visibili sono
come delle teste che stanno al posto di tutto il loro corpo. Ma le immagini
degli dèi che sono formate dagli uomini sono costituite da entrambe le nature72:
quella divina, che è più pura e di gran lunga più divina, e la materia che è
all'interno degli uomini, cioè quella da cui esse sono state fabbricate. E gli
dèi ricevono dagli uomini non solamente le teste, ma tutte le membra ed il
corpo intero. Così gli uomini, sempre me mori della propria natura e della
propria origine, continuano in questo ad imitare la divinità, rappresentando i
loro dèi nelle sembianze del loro stesso volto73, proprio come il
padre e signore fece i suoi dèi eterni, a sua somiglianza».
24.
«Tu stai
parlando delle statue, o Trismegisto?». «Delle statue, o Asclepio. Vedi come
anche tu sei incredulo? Io intendo le statue dotate di anima e di intelletto,
ripiene di soffio vitale e che compiono tali e tanti miracoli; statue che
conoscono in anticipo il futuro e lo predicono per mezzo di sorti, profezie,
sogni e in molti altri modi; statue che arrecano le malattie e le curano,
procurando dolore o piacere a seconda dei meriti degli uomini. Non sai, o
Asclepio, che l'Egitto è un'immagine del cielo o, per essere più precisi, che
ogni cosa governata e mossa nel cielo discende in Egitto e vi è portata?74
Se si deve dire la verità, la nostra terra è il tempio di tutto il mondo. E
pure, dal momento che è bene che i saggi conoscano tutte le cose già prima che
avvengano, di questa voi non dovete rimanere all'oscuro: ci sarà un tempo in
cui si vedrà che inutilmente gli Egiziani hanno tributato il loro onore a dio
con mente devota e con zelante reverenza75. Tutta la loro santa
venerazione degli dèi sarà condannata e perirà inutile, poiché gli dèi
torneranno dalla terra al cielo e l'Egitto sarà abbandonato. Quella terra che
fu la dimora della devozione religiosa sarà resa vedova della presenza degli
dèi e abbandonata a se stessa. Quando gli stranieri occuperanno la terra e il
territorio dell'Egitto, non solamente la pietà sarà negletta, ma, ancor peggio,
una proibizione sotto gravi pene sarà prescritta dalla legge (se così la
vorremo chiamare) per impedire la reverenza, la pietà e l'adorazione degli dèi.
Allora questa terra sacratissima, sede di santuari e di templi, sarà
completamente riempita di tombe e di cadaveri76. O Egitto, Egitto,
dei tuoi culti solo i miti sopravviveranno, ed essi saranno incredibili ai tuoi
figli! Solo delle parole incise sulla pietra sopravviveranno per dire delle tue
opere di devozione, e gli Sciti o gli Indiani o qualche altro popolo barbaro
delle vicinanze abiterà l'Egitto. Gli dèi torneranno nei cieli e tutti gli
uomini moriranno, abbandonati a se stessi, così come l'Egitto sarà reso vedovo
e spogliato degli dèi e degli uomini. Mi rivolgo a te, santissimo fiume, e
predico il tuo futuro: pieno di sangue ribollente tu ti gonfierai fino alle
rive; il sangue non soltanto contaminerà le tue sacre acque, ma tutte insieme
proromperanno, ed il numero dei sepolcri sarà più grande di quello dei viventi.
Chiunque sopravviverà sarà conosciuto come Egiziano solamente dalla lingua: nel
suo comportamento sembrerà un forestiero.
25.
Perché
piangi, o Asclepio? Di mali ancora più dolorosi di questi dovrà fare esperienza
l'Egitto, e di ancor peggiori sciagure esso sarà stipato. La terra che un tempo
era santa, amantissima di dio, la terra che era l'unica in cui, per merito
della sua devozione, gli dèi abitavano, la terra maestra di santità e di fede,
sarà un esempio di totale incredulità. Nella loro pazzia, le genti di quel
tempo non troveranno nel mondo niente che meriti meraviglia o adorazione. Tutto
questo universo, che è una cosa buona, di cui non c'è e non ci sarà cosa
migliore, sarà distrutto. Sarà un peso per gli uomini, ed essi lo
disprezzeranno. Non ammireranno tutto questo mondo, che è un' opera di dio
superiore ad ogni paragone, una costruzione grandiosa, una meraviglia composta
di forme di molteplice varietà, uno strumento della volontà di dio, il quale
conserva la propria opera senza invidia, un multiforme complesso che crea
un'unità di tutte quelle cose che possono essere onorate, apprezzate ed amate,
infine, da coloro che le vedono. Le tenebre saranno preferite alla luce, e si
troverà che la morte è più giovevole della vita. Più nessuno volgerà lo sguardo
in alto verso il cielo77. Colui che è religioso sarà considerato pazzo,
l'empio, saggio; il furente sarà considerato valoroso ed il malvagio sarà
ritenuto una persona dabbene. L'anima, infatti, e tutti gli insegnamenti che la
riguardano, secondo i quali essa o è nata immortale o confida di raggiungere
l'immortalità, quegli insegnamenti che io ti ho rivelato, saranno considerati
non solamente ridicoli, ma addirittura inventati. Non solo, ma, credetemi,
chiunque si dedicherà alla religione della mente78 dovrà subire la
pena capitale. Nuove leggi saranno promulgate, nuova giustizia. Non si udrà
parlare di niente che sia santo, di niente che sia devoto o degno del cielo né
di esseri celesti, né si crederà ad essi nell'intimo della mente. Avrà luogo
una dolorosa separazione degli dèi dal genere umano! Rimarranno ad avere
rapporti con gli uomini solamente gli angeli malvagi, i quali li afferrano, gli
sciagurati, e li spingono a commettere ogni azione scellerata: guerre, rapine,
inganni e tutto quello che è contrario alla natura dell'anima. Allora la terra
non rimarrà ferma né il mare sarà percorso dalle navi; le stelle non
attraverseranno il cielo né il loro corso si manterrà immutato. Ogni voce
divina diventerà muta in un forzato silenzio. I frutti della terra marciranno,
il suolo non sarà più fertile e l'aria stessa si illanguidirà in un cupo
letargo.
26.
Questa, e
così fatta, sarà la vecchiaia del mondo: mancanza di religione, disordine,
disinteresse per tutte le cose buone. Quando tutto questo sarà accaduto, o
Asclepio, allora il signore e padre, il dio il cui potere è sommo, il reggitore
del dio che è unico79, guarderà questo comportamento e questi
crimini volontari e con un atto della sua volontà, che costituisce l'amore di
dio80, si opporrà ai vizi e alla perversione generale, estinguerà
l'errore, abolirà la malvagità con una inondazione o consumandola con il fuoco
o ponendo un termine ad essa con la diffusione, in ogni luogo, di malattie
pestilenziali. Allora egli richiamerà il mondo alla sua bellezza di un tempo,
cosicché il mondo stesso sembrerà ancora meritevole di adorazione e di
meraviglia, e con continue benedizioni e proclamazioni di lode il popolo di
quei giorni onorerà il dio che crea e ricostituisce una così imponente opera. E
questa sarà la nascita del mondo, cioè una riformazione di tutte le cose buone
e una ricostituzione, santissima e reverendissima, della natura stessa, una
volta che sia stato terminato il corso del tempo, che è ed era sempiterno e
senza inizio. Ché la volontà di dio non ha inizio: rimane la medesima,
perdurando nel suo stato presente. La natura di dio, infatti, è il piano
razionale della sua volontà». «Il piano di dio è la somma bontà, o
Trismegisto?». «La volontà viene all'esistenza dal suo piano razionale, o
Asclepio, e l'atto del volere proviene proprio dalla volontà. Dio non vuole
niente a caso, in quanto è assolutamente colmo di tutto e vuole quello che
possiede. Ma vuole tutto quello che è buono e possiede tutto quello che vuole.
Tale è dio, e il mondo è la sua immagine, immagine buona di colui che è buono».
27.
«Buona, o
Trismegisto?». «Buona, o Asclepio, come andrò ad insegnarti. Come, infatti, dio
dispensa e distribuisce i suoi atti di bontà (cioè l'intelletto, l'anima e la
vita) a tutte le specie e a tutti i generi nel mondo, così il mondo garantisce
e fornisce tutto quello che ai mortali sembra buono, cioè la successione delle
nascite al giusto momento, la nascita dei frutti, la loro crescita, la loro
maturazione, e tutte le altre cose del genere. E così, posto al vertice del
cielo più alto, dio è ovunque e sorveglia ogni cosa tutto intorno. Ché esiste
un luogo senza stelle al di là del cielo, separato da ogni oggetto corporeo.
Quello che dispensa la vita, che noi chiamiamo Giove, occupa il posto tra la
terra e il cielo. Invece Giove Plutonio81 governa la terra e il
mare, ed è lui che nutre gli esseri mortali che posseggono un'anima e portano
frutti. I poteri di tutti questi dèi danno forza ai frutti, agli arbusti e alla
terra, mentre i poteri e le operazioni degli altri dèi si di spiegano attraverso
tutte le cose che esistono. Gli dèi che governano la terra verranno collocati e
prenderanno dimora in una città al margine estremo dell'Egitto, che sarà
fondata dalla parte del tramonto del sole82, e alla quale si
affretterà, per terra e per mare, tutta la stirpe dei mortali83».
«Ma dimmi, dove sono adesso questi dèi di cui tu stai parlando, o
Trismegisto?». «Si trovano collocati in una grande città sulla montagna della
Libia. Ma, per il momento, basta di tutto questo. Adesso dobbiamo parlare
dell'essere immortale e di quello mortale, perché l'aspettativa e la paura
della morte tortura molti uomini, che non ne conoscono la vera spiegazione. La
morte infatti deriva dalla disintegrazione del corpo che si è consumato in
seguito alla fatica, dopo che si è compiuto il numero degli anni84
durante i quali le membra del corpo erano state compaginate in un unico
meccanismo che esercitava le funzioni vitali. Il corpo muore, infatti, quando
non può sopportare più oltre i processi vitali di una persona. La morte,
dunque, è questo: la disintegrazione del corpo e lo spengersi delle sensazioni
del corpo. Preoccuparsi di tutto questo, è inutile, mentre c'è un altro
problema che merita la nostra preoccupazione, anche se la gente non se ne cura
per ignoranza o mancanza di fede». «Cos'è quello che la gente ignora, o
Trismegisto, o non crede che esista?».
28.
«Ascolta,
dunque, o Asclepio. Quando si sarà verificata la separazione dell'anima dal
corpo, allora l'anima passerà sotto il potere del primo demone85, il
quale pesa e giudica i suoi meriti, e se trova che essa è fedele e giusta, la
lascia abitare in un luogo adatto a lei. Ma se vede che l'anima è impregnata
delle macchie del mal fare e insozzata dal vizio, allora la scaglia a capofitto
dall'alto nelle estreme profondità e l'affida alle tempeste e ai turbini
dell'aria, del fuoco e dell'acqua nel loro scontro incessante, di modo che,
trovandosi tra il cielo e la terra, sia rapita con pene eterne in luoghi sempre
diversi ad opera dei flutti della materia: di conseguenza, l'eternità stessa
nuoce all'anima, poiché l'anima è sottoposta ad una sentenza immortale con
eterni tormenti. Sappi, dunque, che dobbiamo temere, detestare ed evitare di
essere soggetti ad un destino di tal genere. Dopo che avranno fatto il male,
coloro che non credono saranno costretti a credere, non dalle parole, ma dagli
esempi, non dalle minacce, ma dalla reale sofferenza della loro punizione».
«Allora non è solamente la legge umana che punisce i delitti dei mortali, o
Trismegisto?». «Innanzitutto, o Asclepio, ogni cosa terrena è mortale, così
come lo sono quegli esseri che vivono in una condizione corporea e perdono la
vita nello stesso modo del corpo. Essi sono tutti soggetti alla ricompensa per
il bene o il male che hanno commesso in vita, e le punizioni dopo la morte sono
più severe, in quanto il loro malvagio comportamento forse è rimasto celato
durante la loro vita. Ma il dio conosce tutto questo già in anticipo, e così
uno sconta il fio esattamente in proporzione del male commesso».
29.
«Chi sono
quelli che meritano le più severe punizioni, o Trismegisto?». «Quelli che,
condannati dalle leggi degli uomini, sono morti di una morte violenta, cosicché
essi sono stati puniti meritatamente, a quanto sembra, ma non hanno pagato il
loro debito alla natura dandole la vita. D'altro lato, il giusto trova la sua
difesa nella reverenza tributata a dio e nella suprema pietà86. Dio,
infatti, protegge da ogni male siffatte persone. Giacché il padre e signore
dell'universo, colui che, lui solo, è il tutto, si mostra volentieri a tutti -
non in un luogo, in cui si trovi, né in una qualità, per mostrare quale sia, né
per mostrare quanto sia, ma solamente con l'illuminare gli uomini con la
comprensione, che appartiene alla mente. E quando le tenebre dell'errore sono
state sgombrate dall'anima e si è percepita la luce della verità, l'uomo si
unisce con tutta la sua intelligenza all'intelletto di dio, e quando l'amore di
dio lo ha liberato da quella parte della sua natura che lo rende mortale,
allora spera nella immortalità a venire. Questo è quello che separerà sempre il
buono dal malvagio. Ogni persona buona infatti è illuminata dalla pietà, dalla
religione, dalla saggezza, dalla devozione e dal rispetto per il dio, per aver
percepito, come con i propri occhi, la vera ragione delle cose, e la certezza
di questa convinzione lo rende superiore alla natura umana, tanto quanto il
sole sopravanza tutte le altre stelle. In effetti, il sole illumina le altre
stelle non tanto con l'intensità della sua luce, quanto con la sua divinità e
la sua santità. Tu devi credere, o Asclepio, che il sole è veramente un secondo
dio che governa tutte le cose e sparge la sua luce su tutto quello che si trova
nel mondo, quello che è dotato di anima o che è privo di anima. Ché se il mondo
è, è stato e sarà un essere animato che vive per sempre, niente nel mondo è
mortale. Poiché ogni parte di esso, come si trova nel suo stato attuale, vive
sempre ed anche vive in un mondo che è, pure lui, un unico essere animato che
vive sempre, non vi è posto nel mondo per la condizione mortale, e così il
mondo, se deve vivere sempre, deve essere completamente pieno di vita e di
eternità. Come, dunque, il mondo è sempitemo, così il sole sempre governa le
cose che hanno vita, cioè tutto il loro potere di vivere, che egli dispensa e
moltiplica87. Pertanto dio è il sempitemo reggitore delle cose che
vivono e di quelle che possono vivere e che sono nel mondo, e dispensa la vita
stessa per l'eternità88. Tuttavia egli l'ha dispensata una volta per
tutte: la vita è donata secondo una legge eterna a tutto quello che possiede la
vita, nel modo che io andrò a descrivere.
30.
Il mondo
si muove entro la stessa forza vitale dell'eternità89 e nella stessa
vivente eternità si trova il luogo del mondo90; pertanto esso non si
fermerà mai e non si corromperà, perché è protetto e chiuso, se così si può
dire, dalla eternità della sua vita. Il mondo stesso dispensa la vita a tutte
le cose che sono in lui, ed è il luogo di tutte le cose che sono governate sotto
il sole. Il movimento del mondo consiste in un duplice effetto: l'eternità dà
vita al mondo stesso dal di fuori91, ed il mondo dà la vita a tutto,
al suo interno, diversificando tutte le cose conformemente ai numeri e ai tempi
stabiliti e fissi, servendosi dell'azione del sole e dei movimenti delle
stelle, in quanto ogni computo del tempo è stato fissato per mezzo di una legge
divina. Il tempo della terra si conosce grazie alla qualità dell'aria e al
cambiamento delle stagioni, che sono calde e fredde, ma nel cielo il tempo si
conosce grazie al ritorno delle stelle al medesimo luogo, poiché esse corrono
in modo conforme al tempo. Il mondo è il ricettacolo del tempo, dalla cui corsa
e dal cui movimento il mondo è animato. E tuttavia il tempo si conserva
mediante una regola fissa92: l'ordine e il tempo producono il
rinnovamento di tutte le cose nel mondo mediante l'alterna successione delle
stagioni. Poiché, dunque, tutte le cose si trovano in questa condizione, niente
è stabile, niente è fisso, niente è immobile, tra tutte le cose che vengono
all'esistenza in cielo e in terra: l'unica eccezione è dio, e giustamente lo è
lui soltanto, poiché egli è tutto, pieno e perfetto in se stesso e grazie a se
stesso e attorno a se stesso93. Egli è la sua stessa immobile
stabilità94, e nessun impulso esterno può muoverlo dal suo luogo, in
quanto ogni cosa è in lui e lui, lui solo, è in ogni cosa, a meno che uno non
osi dire che il suo movimento è nell'eternità. Ma è più verosimile che
l'eternità stessa, verso la quale procede il movimento di tutti i tempi e dalla
quale il movimento di tutti i tempi prende le mosse, sia immobile.
31.
Pertanto dio è sempre stato immobile, e
l'eternità, parimenti, è sempre stata ferma insieme con lui95,
tenendo all'interno di sé il mondo che non è venuto all'esistenza, il mondo che
noi abbiamo ragione di chiamare 'mondo sensibile'. Questo mondo sensibile, che
imita l'eternità96, fu fatto come immagine di questo dio. Sebbene
sia sempre in movimento, il tempo in un suo modo peculiare possiede la forza ed
il carattere della stabilità, e questa forza gli deriva esattamente dalla
necessità di tornare a se stesso. Pertanto, sebbene l'eternità sia stabile,
immobile e fissa, tuttavia il movimento del tempo, che è mobile, sempre torna
indietro all'eternità. E poiché questo movimento, secondo la legge del tempo,
si gira in un moto circolare, accade che l'eternità, che, se considerata in sé
è immobile, apparentemente si muova attraverso il tempo nel quale essa si
trova, ed è nel tempo che tutto il movimento procede. Così accade che la
immobilità dell'eternità si muova e che il movimento del tempo sia stabile ad
opera della legge del suo ciclo, che è fissa. Così uno può anche credere che il
dio si muova al proprio interno, ma in una immobilità sempre uguale, poiché a
causa della sua immensità il movimento della sua stabilità è, di fatto,
immobile. La stessa legge dell'immensità è immobile. Questo essere, pertanto,
che non è del genere di quelli che possono essere percepiti dai sensi, è
infinito, non comprensibile, non misurabile. Esso non può essere sostenuto né
portato né osservato. Non si sa, infatti, dove sia, dove vada, donde provenga,
come si muova, che cosa sia. Esso si muove nella sua assoluta stabilità e la
sua stabilità si muove al suo interno: chiamiamola dio, eternità, entrambi,
l'uno nell'altro o entrambi in entrambi. Di conseguenza, l'eternità non ha
limiti di tempo. Ma il tempo, benché possa essere limitato dal numero o
dall'alternarsi ciclico o dal ritorno periodico attraverso il continuo
ricorrere delle stelle, è eterno. Entrambi sono infiniti, dunque; entrambi si
vede che sono eterni. Poiché la stabilità è stata fissata stabilmente per
sostenere le cose che si muovono, con ragione possiede il primo posto a causa
di questa sua fermezza.
32.
I
principi di tutto quello che esiste, di conseguenza, sono dio e l'eternità. Ma
il mondo, siccome è mobile, non possiede il primo posto; in lui la mobilità è
più forte della stabilità, sebbene esso abbia una stabilità immobile che
costituisce la legge del suo eterno movimento. Dunque, l'intelletto nella sua
totalità97 è simile all'essere divino: è, quindi, immobile in se
stesso e pure si muove nella sua stabilità. Esso è santo, incorrotto,
sempiterno, e tutto quanto di più nobile si può dire di lui: esso è la eternità
del dio supremo, che sta nella verità stessa; è completamente pieno di tutte le
cose sensibili e dell'ordine universale, e coesiste, per così dire, con dio.
L'intelletto del mondo, poi, è il ricettacolo di tutte le forme sensibili e di
ogni ordine. L'intelletto umano, infine, ... per la tenacia con cui ricorda
tutte le cose che ha fatto. Nella sua discesa, la divinità dell'intelletto
giunge fino a quell'essere animato che è l'uomo, perché il dio supremo non
volle che l'intelletto divino si mescolasse con ogni essere vivente, perché non
fosse oltraggiato dall'unione con gli altri esseri viventi. La comprensione che
si può avere dell'intelletto umano, che cosa esso sia e quanto grande esso sia,
consiste tutta nella memoria degli eventi passati. Grazie alla tenacia della
sua memoria, infatti, l'uomo fu fatto anche reggitore della terra. La
comprensione della natura e la qualità dell'intelletto del mondo, tuttavia, possono
essere pienamente percepite grazie alla osservazione di tutte le cose sensibili
che si trovano nel mondo. L'intelletto dell'eternità, che viene come seconda,
ci viene fornito dal mondo sensibile, e di esso si possono discernere le
caratteristiche. Ma il comprendere il carattere dell'intelletto del dio
supremo, ed il carattere stesso di questo intelletto, costituiscono l'unica
verità. Non un'ombra, e nemmeno la più tenue traccia di questa verità possono
essere viste nel mondo, perché il falso esiste là dove le cose con il misurare
il tempo si distinguono, e là dove vi è l'origine delle cose, ivi è l'errore.
Così, tu vedi in quali condizioni ci troviamo e la profondità del soggetto di
cui stiamo trattando, o Asclepio, e a quali conclusioni osiamo giungere. Ma a
te, sommo dio, io rendo grazie perché mi illuminasti con la luce per mezzo
della quale la divinità può essere vista98. E voi, Tat e Asclepio e
Ammone, nascondete questi divini misteri nei segreti del vostro cuore e
copriteli con il silenzio. Il pensiero, tuttavia, differisce dall'intelletto99
in quanto il nostro intelletto giunge, con la concentrazione della mente, a
comprendere e a distinguere l'essenza dell'intelletto del mondo, mentre
l'intelletto del mondo, a sua volta, giunge a conoscere l'eternità e gli dèi
che stanno sopra di sé. E così avviene che noi esseri umani vediamo le cose che
stanno nel cielo come attraverso una nebbia, se così possiamo dire, per quanto
è possibile nella condizione del pensiero umano. Quando giunge a vedere sì
grandi cose, questa applicazione della nostra vista è assolutamente limitata,
ma una volta che il nostro intelletto le ha viste, la felicità procurataci
dalla conoscenza è immensa.
33.
A
proposito del vuoto, che tante persone considerano essere un argomento così
importante100 , io la penso nel modo seguente: non esiste una cosa
che sia il vuoto, non ha potuto esistere e non esisterà mai101. Ché
tutte le membra del mondo sono completamente piene, così che il mondo stesso è
completamente pieno e perfetto in virtù di corpi che differiscono per qualità e
forma, ciascuno possedendo la sua forma e la sua misura. Alcuni sono più
grandi, altri più piccoli, e differiscono per maggiore o minore densità. I più
densi, come i più grandi, sono visti con facilità, ma i più piccoli ed i meno
densi sono molto difficili o addirittura impossibili a vedersi, e noi possiamo
scoprirli solamente toccandoli. Pertanto molti pensano che questi non siano
corpi, ma degli spazi vuoti, il che è impossibile. Infatti, esattamente come
quello che è definito 'spazio al di là del mondo', ammesso che una cosa del
genere vi sia (perché io non credo nemmeno a questo102), così io
credo che questo spazio sia pieno di cose intelligibili, cioè di sostanze
simili alla natura divina dello spazio stesso, e allo stesso modo anche questo
mondo che noi chiamiamo 'sensibile' sia completamente pieno di corpi e di
esseri viventi che si conformano alla sua natura e alla sua qualità. Noi però
non li vediamo tutti nel loro vero aspetto, ma alcuni ci appaiono oltremodo
grandi, altri, invece, molto piccoli; essi sembrano tali a noi o perché sono
troppo distanti o perché i nostri occhi sono deboli; oppure, siccome sono così
piccoli, molti pensano che essi non esistano affatto. lo sto parlando ora dei
demoni che stanno sempre presso di noi, io credo, e degli eroi, che abitano la
parte più pura dell'aria sopra di noi, la parte in cui non vi è nebbia né
nuvole né sconvolgimenti prodotti dal movimento delle stelle103.
Pertanto, o Asclepio, tu non devi chiamare 'vuoto' nessuna cosa, a meno che tu
intenda dire che quello che tu chiami 'vuoto' è 'vuoto di' qualche cosa: vuoto
di fuoco o di acqua e così via. E così, sebbene si possa vedere qualche cosa
che possa essere vuota di qualche cosa, per quanto piccola o grande sia la cosa
che sembra vuota, in nessun caso essa può essere vuota di soffio e di aria104
.
34.
La stessa
cosa si deve dire a proposito del luogo, che, se preso in sé, è una parola
priva di significato. Ché si vede chiaramente l'esistenza del luogo sulla base
di quella cosa di cui esso è il luogo: tanto è vero che, se tu togli questo
elemento importante, tu togli il significato della parola 'luogo'. Ecco perché
noi possiamo parlare di 'luogo dell'acqua, del fuoco' e così via, ed abbiamo
ragione. Come è impossibile che ci sia un vuoto, così il significato del termine
'luogo', preso in sé e per sé, è incomprensibile. Se tu ipotizzi che esista un
luogo separatamente da quella cosa di cui esso è il luogo, allora si potrebbe
avere l'impressione di un luogo vuoto: cosa, questa, che, come ti dicevo, non
può esistere nel mondo. Se niente è vuoto, è parimenti evidente che niente è il
luogo in quanto tale, a meno che tu non gli aggiunga delle caratteristiche
visibili, come la lunghezza, l'ampiezza, l'altezza, come tu potresti fare nei
corpi umani. Date queste condizioni, sappiate, tu o Asclepio e tutti voi che siete
qui presenti, che il mondo intelligibile, percepibile solo mediante
l'intuizione della mente, è incorporeo, e che con la sua natura non si può
combinare niente di corporeo, cioè niente che si possa conoscere per mezzo
della qualità, della quantità e del numero, poiché nel mondo intelligibile non
esiste niente del genere. Questo mondo chiamato 'sensibile' è il ricettacolo105
di tutte le qualità o sostanze delle forme sensibili, e tutto questo non può
ricevere vigore senza l'intervento di dio. Dio, infatti, è ogni cosa ed ogni
cosa proviene da lui; ogni cosa dipende dal suo volere. Il tutto è buono,
bello, sapiente, inimitabile, sensibile ed intelligibile a lui soltanto. Senza
di lui, nulla vi fu mai, vi è o vi sarà, perché tutte le cose provengono da
lui, sono in lui e per mezzo di lui106: le qualità varie e
multiformi, le grandi quantità, tutte le incommensurabili grandezze e le forme
di ogni genere. Se giungerai ad intendere tutto questo, o Asclepio, tu
ringrazierai dio, e se considererai il tutto, apprenderai che lo stesso mondo
sensibile e tutto quello che esso contiene sono, in realtà, coperti dal mondo
superiore, come da un rivestimento che lo contiene.
35.
Ogni genere di esseri viventi, o Asclepio, senza
differenza se sia mortale o immortale, razionale o irrazionale, dotato di
un'anima o privo di anima, ognuno ha la caratteristica del suo genere, a
seconda del genere a cui appartiene107. E sebbene ogni genere di
esseri viventi possegga l'intera forma del suo genere, all'interno della
medesima forma ogni individuo è diverso dall'altro: ad esempio, sebbene il
genere umano sia uno nella forma, cosicché un essere umano può essere individuato
a prima vista, ogni persona all'interno della stessa forma è diversa dalle
altre. Giacché la specie, che è divina, è incorporea, come lo è qualunque cosa
che sia stata compresa dalla mente. Pertanto, siccome queste due componenti che
costituiscono le forme sono dei corpi e degli incorporei, è impossibile per
ogni forma nascere in stretta somiglianza con un'altra in momenti diversi e in
punti diversi di zone terrestri. Le forme invece, mutano tanto frequentemente
quanti sono i momenti all'interno dell'ora, durante la rivoluzione del circolo108
nel quale risiede il grande dio che noi abbiamo chiamato 'Onniforme'. La specie
dura, producendo da sé tante volte tante copie e tanto varie quanti sono i
momenti delle rotazioni del mondo109. Il mondo, mentre ruota, si
muta, ma la specie non muta e non ruota. Pertanto le forme di ogni genere
perdurano, sebbene all'interno della loro forma, che resta la medesima,
sussistano delle differenze».
36.
«Anche il
mondo muta la sua forma, o Trismegisto?». «Vedi, insomma, o Asclepio! È come se
io ti avessi detto tutto questo mentre dormivi! Che cosa è il mondo, in realtà?
Di che cosa è formato, se non di tutte le cose che sono state fatte? Quello su cui
vuoi essere informato, quindi, sono il cielo, la terra e gli elementi. Ebbene,
che cos'altro muta la sua forma con maggiore frequenza di questi? Il cielo
diviene umido o secco, freddo o caldo, chiaro o tenebroso; queste forme
continuano a mutare l'una nell'altra sotto l'unica forma del cielo. La terra,
poi, è sempre soggetta a molte trasformazioni all'interno della sua forma
allorquando produce i suoi frutti, mentre favorisce la crescita di quello che
ha fatto sorgere e produce le varie e differenti qualità e quantità di tutti i
suoi frutti, il loro formarsi o il loro progredire e le crescite, e soprattutto
le qualità, gli odori, i sapori e le forme degli alberi, dei fiori e dei
frutti. Il fuoco produce moltissime alterazioni, che sono divine. In effetti,
le manifestazioni del sole e della luna sono multiformi, analoghe, per così
dire, ai nostri specchi, che riproducono somiglianze attraverso riflessi che
per chiarezza fanno a gara con la realtà.
37.
Ma di questo argomento è stato detto a
sufficienza, per ora. Volgiamoci ora all'uomo e alla ragione, che è il dono
divino in virtù del quale un uomo è chiamato 'animale razionale'. Quello che
noi abbiamo detto dell'uomo è meraviglioso, ma meno meraviglioso di quanto dirò
ora110: oltrepassa la meraviglia di tutte le meraviglie il fatto che
gli esseri umani siano stati capaci di scoprire la natura divina ed il modo in
cui crearla. I nostri antenati un tempo sbagliarono grandemente a proposito
della natura di dio111: essi non credevano ed erano disattenti nella
venerazione e nel vero culto di dio. Ma allora scoprirono l'arte di fare gli
dèi. A questa scoperta aggiunsero un potere corrispondente, derivato dalla
natura della materia. E siccome essi non potevano creare le anime, mescolarono
questo potere ed evocarono le anime dei demoni o angeli e le installarono nelle
statue degli dèi mediante sacri e divini misteri112, per cui gli
idoli poterono avere il potere di fare sia il bene sia il male. Ad esempio, al
tuo antenato113, che fu lo scopritore della medicina, o Asclepio, fu
dedicato un tempio sulla montagna della Libia, vicino alla riva dei coccodrilli114.
Ivi giace l'uomo materiale, vale a dire il corpo. Il resto, o piuttosto, tutto
quanto lui (se è vero che l'uomo nella sua totalità consiste nella coscienza
del proprio vivere), tornò più beato al cielo115. Ancora adesso egli
procura ogni aiuto ai malati per mezzo del suo potere divino, così come
solitamente, allora, egli lo forniva mediante l'arte della medicina. Ed Ermete,
del quale io porto il nome avito116, non abita forse nella sua città
nativa, che prese il nome da lui117, là dove si recano i mortali
provenienti da ogni parte, per avere aiuto e protezione? E Iside, la moglie di
Osiride: quanto bene ella fa quando è propizia agli uomini118,
quanto male quando è adirata! L'ira, infatti, coglie facilmente gli dèi terreni
e materiali, poiché gli esseri umani li hanno creati e messi insieme servendosi
di entrambe le nature. Per cui avviene che questi sono chiamati animali sacri
dagli Egiziani119, i quali in tutte le loro città venerano le anime
di coloro le cui anime furono deificate, quando erano in vita, di modo che le
città vivono con le loro leggi e danno a se stesse i nomi di quelli. Per questo
motivo, o Asclepio, siccome quello che un gruppo di uomini venera e onora, un
altro, invece, lo considera in modo diverso, le città dell'Egitto si fanno
guerra a vicenda, continuamente».
38.
«E la
natura di questi dèi che sono considerati terrestri, di che genere è, o
Trismegisto?». «Essa risulta da una mescolanza di erbe, di pietre e di spezie,
o Asclepio, le quali posseggono entro di sé per natura il potere della
divinità. E questo è il motivo per cui questi dèi si dilettano dei sacrifici,
degli inni, e delle lodi e dei dolcissimi suoni intonati a imitazione
dell'armonia del cielo, cosicché gli elementi celesti che sono posti in questi
dèi per mezzo di un rito ispirato dal cielo e continuamente ripetuto possano
lietamente sorreggere il loro lungo soggiorno in mezzo all'umanità. In questo
modo l'uomo dà forma ai suoi dèi. E non credere che gli effetti di questi dèi
terrestri siano casuali, o Asclepio. Gli dèi celesti abitano le altezze del cielo,
ciascuno tenendo e conservando il rango che gli è stato assegnato. Ma qui in
basso i nostri dèi si occupano ad uno ad uno di determinate cose120,
e, come per mezzo di una parentela ispirata ad amore, predicono alcuni eventi
futuri mediante sorti e divinazioni ed altri ne prevedono, assistendo gli
uomini, in una certa misura, con questi loro interventi, ciascuno nel suo
modo».
39.
«E
allora, quale parte del piano divino è amministrato dalla heimarmene, o fato
che dir si voglia, o Trismegisto? Gli dèi celesti governano le realtà
universali, mentre quelle limitate sono governate dagli dèi terrestri?».
«Quella che noi chiamiamo heimarmene, o Asclepio121, è la necessità
di tutti gli eventi, i quali sono sempre legati l'uno all'altro per mezzo di
vincoli che formano una catena ininterrotta. La heimarmene è l'artefice di ogni
cosa, quindi, o anche il dio sommo o il secondo dio creato dal dio sommo, o
l'ordine di tutte le cose in cielo e in terra, reso saldo dalle leggi divine122.
Pertanto questa heimarmene e questa necessità123 sono legate l'una
all'altra da un vincolo inscindibile e, delle due, la heimarmene viene per
prima, generando l'inizio di tutte le cose, mentre le cose che dipendono
dall'inizio costituito dalla heimarmene sono portate a compimento dall'azione
della necessità. Quello che consegue a entrambe è l'ordine, vale a dire, la
struttura e la disposizione nel tempo delle cose che debbono essere attuate.
Niente, infatti, esiste senza l'ordine che le dispone, e questo ordine è
perfetto in ogni cosa. L'ordine è il veicolo del mondo stesso, e l'universo si
basa sull'ordine.
40.
Pertanto
queste tre entità, la heimarmene, la necessità e l'ordine124, sono
nel senso più pieno il prodotto della volontà di dio, il quale governa il mondo
con la sua legge e con divina razionalità, e di conseguenza il volere e il non
volere sono stati preclusi a tali entità, e questo per volere divino. Non
turbati dall'ira né piegati dal favore, esse si sottomettono alla necessità
della razionalità eterna, e tale razionalità è l'eternità stessa, inevitabile,
immobile, indissolubile. Prima viene la heimarmene, dunque, la quale, come se
avesse gettato il seme, provvede alla nascita di tutto quello che deve venire;
segue la necessità, che costringe tutte le cose alla loro realizzazione.
L'ordine viene per terzo, al fine di conservare la struttura delle cose che
sono state disposte dalla heimarmene e dalla necessità. Questa è l'eternità,
pertanto, la quale non ha mai cominciato né può cessare di esistere e si muove
in circolo con moto incessante, ad opera della legge fissa e immutabile del suo
ciclo, e sorge e tramonta nelle sue parti più e più volte, cosicché con il
mutare del tempo nelle medesime parti in cui era tramontata essa di nuovo
risorge. Così si comporta, infatti, il moto circolare, cioè il piano razionale
che si avvolge su se stesso, sì che tutte le cose sono legate l'una all'altra
al punto che tu non puoi sapere a che punto il giro cominci (ammesso che
cominci), in quanto sembra che tutte le cose sempre si precedano e si seguano a
vicenda. Tuttavia l'accidente e il caso sono sempre mescolati nelle cose
materiali del mondo. Ti ho detto quello che le forze umane hanno potuto, come
lo ha voluto e permesso il dio, sui singoli punti della nostra filosofia. Ci
rimane solamente da tornare alla cura del nostro corpo glorificando dio e
pregandolo. Infatti ci siamo soffermati abbastanza sulle cose divine, e ci
siamo saziati, se così si può dire, di un cibo che è adatto per l'animo».
41.
Quando
ebbero lasciato l'interno del santuario, cominciarono a pregare il dio
volgendosi verso il meridione (ché quando uno vuole pregare dio al tramonto del
sole, deve indirizzare il suo sguardo a quella parte del cielo, e, parimenti,
quando si prega all'alba, bisogna rivolgersi verso quella direzione che
chiamano 'esposta al sole'125) - orbene, essi stavano già dicendo la
loro preghiera, quando a bassa voce Asclepio disse: «O Tat, vuoi che noi
suggeriamo a nostro padre di ordinare di aggiungere incenso e aromi mentre noi
preghiamo il dio?». Quando il Trismegisto lo udì, ne fu turbato e disse: «Il
tuo augurio sia migliore, o Asclepio, sia migliore. Ardere incenso e altro
materiale, quando preghi dio, sa di sacrilegio. Dio, infatti, non ha bisogno di
niente126: è tutte le cose, e in lui sono tutte le cose! Piuttosto,
veneriamo lo rivolgendogli i nostri ringraziamenti, perché il modo migliore di
bruciare profumi al dio è la gratitudine degli uomini127. Noi ti
ringraziamo128, o sommo, o sovranamente altissimo! Dalla tua grazia
soltanto noi abbiamo ottenuto siffatta luce della tua conoscenza, il nome tuo,
santo e venerabile, nome unico con il quale la nostra fede avita deve benedire
dio soltanto, perché tu ti degni di donare a tutti il tuo amore paterno, la tua
religione e il tuo affetto, insieme con ogni potere più dolce. Tu ci doni il
dono dell'intelletto, della ragione e della comprensione: l'intelletto, con il
quale ti possiamo conoscere; la ragione, con la quale possiamo cercarti nei
nostri ragionamenti; la conoscenza, perché, conoscendoti, siamo colmati di
gioia129. E noi, salvati130 dalla tua divina potenza,
veramente gioiamo, poiché tu ti sei mostrato a noi nella tua interezza. Noi
gioiamo perché ti sei degnato di consacrarci all'eternità131, anche
mentre eravamo collocati nel corpo. Ché questo è l'unico modo in cui l'umanità
può renderti grazie: con la conoscenza della tua maestà132. Noi abbiamo conosciuto te e la somma luce,
percepibile solamente dalla ragione. Noi abbiamo compreso te, o della vita vera
vita133, grembo pregno di tutto quello che dovrà venire ad esistere.
Noi ti abbiamo conosciuto, o tu che fai durare eternamente tutta la natura,
infinitamente pregna del tuo seme. Adorando con tutta questa preghiera il bene
della tua bontà, noi ti domandiamo una cosa sola, che tu voglia conservarci
perseveranti nell'amore della tua conoscenza e che non ci separiamo mai da una
vita come questa». Dopo siffatta preghiera ci volgemmo ad una cena pura, senza
carne di animali134.
Note:
∗ Tra le ormai numerose e pur pregevoli traduzioni in
lingua italiana dell'Asclepius date alle stampe più o meno di recente, per se
sole o nel più vasto contesto del Corpus Hermeticum, merita attenzione quella –
qui riprodotta - di Sara Petri, pubblicata in appendice (insieme con due
splendidi testi del ben più tardo ermetismo rinascimentale: il Crater Hermetis
ed il Prometheus di Ludovico Lazzarelli) della bella ed istruttiva Storia
dell’ermetismo cristiano (Morcelliana, Brescia, 2000) di Claudio Moreschini,
cui si rimanda per l'inquadramento storico-letterario e filosofico-religioso
dell'opera (N.d.C.).
1 L'affermazione è emblematica dell'Asclepius e ritorna
spesso (cf. capp. 8; 20; 29; 30); la troviamo anche nel Corpus Hermeticum
(d'ora in poi C.H.) XVI, 3. Per un approfondimento di questa dottrina cf. E.
Norden, Agnostos Theòs, Leipzig 1912, pp. 246-250 (di prossima pubblicazione in
edizione italiana presso questa Casa Editrice).
2 La traduzione segue la correzione del Thomas (diexodica),
giustificata dal fatto che esistevano dei Discorsi dettagliati di Ermete a Tat
(cf. p. 97), ma il Nock mantiene il testo dei manoscritti exoticaque e intende
'destinata all'esterno'. Cf. a tal riguardo, Mahé, Hermès en Haute-Égypte cit.
I, p. 132.
3 Alcuni trattati del C.H., infatti, sono dedicati a Tat.
4 L'espressione, nonostante tutti i tentativi di
interpretazione, rimane, a nostro parere, insolita. Secondo il Festugière, qui
Eros parla per bocca di Ermete, perché Eros è l'agente che coordina gli
elementi e assicura la continuatio, cioè la coesione, del mondo, che è
l'argomento principale dell'Asclepius. Secondo il Nock, invece, potrebbe essere
un'allusione, ma molto lontana, all'Eros orfico, al quale talvolta Ermete è
associato.
5 Secondo Aldo Magris (La logica del pensiero gnostico,
Morcelliana, Brescia 1997, p. 403 n. 59), l'ermetismo ammette la possibilità di
vari gradi di dignità delle anime, cf. Estratti da Stobeo XXIV, 7 e XXV, 13. 2
6 Questo concetto, che il creatore possiede entro se stesso
tutte le cose che esistono, in quanto le possiede nella sua mente, è proprio
anche del platonismo; lo si trova in seguito, ai capp. 14 e 19-20. Dio,
insomma, non soltanto è creatore del tutto, ma è anche il tutto.
7 È il fuoco che è prodotto dalle esalazioni che, muovendo
dal basso, dalla terra, salgono fino al cielo e nutrono le stelle, secondo una
dottrina stoica.
8 Il termine qui impiegato è mundus, con il quale il
traduttore latino ha cercato di rendere ὕλη (cioè 'materia') dell'originale;
altrove (cap. 14), invece, egli impiega il termine greco e lo traduce.
9 Il cielo, qui, è sostanzialmente il corpo luminoso che in
esso ha il primo posto per importanza, cioè il sole. È, questa, una
testimonianza della teologia solare, che era assai diffusa nella tarda
antichità. Essa è attestata anche più avanti, al cap. 29. Cf. anche quanto si è
osservato a pp. 149-150.
10 Altra dottrina ermetica: cf. C.H. XVI, 17: «Dunque, il
mondo intellegibile dipende da dio, ed il mondo sensibile da quello
intellegibile».
11 Secondo il Festugière questo è un errore dello scrittore
ermetico, perché si sarebbe dovuto scrivere 'genere' (cioè in un altro genere),
e non 'specie'.
12 Si ricordi che nella demonologia tardoantica, che
risaliva in gran parte alla speculazione platonica, il demone poteva essere sia
amico degli uomini, come qui, sia ostile, come si legge più oltre, al cap. 25.
13 Una parola chiave della dottrina ermetica: la devozione
(pietas, εὐσέβεια) caratterizza l'ermetista e gli permette di essere congiunto
al dio. In tal modo la vera devozione equivale alla gnosi, cioè alla conoscenza
per eccellenza, quella di dio. Chiarificante a questo proposito è il passo di
C.H. IV, 4, che troveremo anche più avanti (cap. 41).
14 L'uomo ha una posizione centrale nell'universo,
intermedia tra il mondo materiale e il mondo intellettuale. Questa
caratteristica è anche la sua prerogativa principale, come anche gli ermetisti
del Rinascimento concordemente sottolinearono, dal Ficino al Lazzarelli.
15 Espressione che simboleggia la dignità umana, in quanto
il guardare il cielo è conseguenza dello status rectus (su cui cf. pp. 73 e
125).
16 Questa concezione si trova anche in altri trattati
ermetici: cf. C.H. X, 25 («In effetti, nessuno degli dèi celesti lascerà il
confine del cielo e scenderà in terra, mentre l'uomo sale anche fino al cielo e
lo misura e sa quali cose nel cielo siano alte e quali siano basse e conosce
tutte le cose con esattezza, e, cosa che è più importante di tutte, nemmeno
deve abbandonare la terra per giungere in alto!»); XI, 19 («Ordina alla tua
anima di recarsi in India, ed essa sarà là, più velocemente del tuo ordine.
Comandale di passare subito da lì all'Oceano, e allo stesso modo essa sarà là,
velocemente, non come se passasse da un luogo ad un altro, ma perché vi si
trova. Ordinale di salire anche al cielo, e non avrà bisogno di ali. Niente le
è di impedimento, non il fuoco del sole, non l'etere, non il giro del cielo,
non gli altri corpi delle stelle; oltrepassando ogni cosa volerà in alto fino
al corpo estremo»).
17 Il testo torna bruscamente ed in maniera slegata al
problema della natura dei vari esseri, abbandonando la celebrazione dell'uomo.
18 O meglio, dall'elemento che circonda l'uomo e gli
animali, e che è in basso. Quindi solo gli uomini e le bestie posseggono
l'anima. Solo l'uomo, infine, come si dice poco dopo, possiede anche
l'intelletto, che proviene dall'etere, come asserivano anche varie correnti
filosofiche, aristoteliche e stoiche (cf. p. 126).
19 Cioè le piante.
20 Lo spirito è da intendersi come realtà materiale, come
soffio che dà la vita.
21 È lo status rectus a cui si è accennato sopra (n. 15).
22 È una concezione tipica dello gnosticismo, e che si trova
anche altrove nel C.H.: cf. I, 22 («Gli uomini non posseggono tutti
l'intelletto? Taci, mio caro. Io che sono l'Intelletto, sto presso coloro che
sono santi e buoni e puri e misericordiosi, quelli che sono pii»); IX, 5 («È
prerogativa dell'uomo l'intima unione, in lui, della sensazione e
dell'intelletto. Ma come ho detto sopra, non ogni uomo gode dell'intelletto»).
Nell'Asclepius torna ancora ai capp. 9, 18 e 22.
23 Questa è più una parafrasi che una traduzione del termine
greco. Ousiodes, infatti, significa 'sostanziale', 'manifestante la vera
sostanza'. Ma l'uomo nella sua vera sostanza è di origine divina, come si legge
anche in C.H. I, 15, e la sua rigenerazione è parimenti divina (XIII, 14), per
cui egli è 'in una forma a somiglianza con dio'. Il concetto di 'uomo
essenziale' si legge anche nel primo trattato del C.H., il Poimandres (capp. 15
e 32), oltre che in IX, 5 e XIII, 14.
24 Perché è formato dai quattro elementi della materia.
25 Nel senso che la materia copre e protegge la scintilla
divina della realtà umana.
26 Su questo passo, centrale per l'ermetismo cristiano, cf.
quanto si è osservato sopra, pp. 75 ss. Al di fuori della interpretazione
cristiana, questo secondo dio indica il mondo, il quale, secondo altri trattati
ermetici (cf. IX, 6: «e infatti il mondo possiede una sua sensazione ed una sua
intelligenza»), invece, possiede effettivamente la sensazione.
27 La bontà di dio è affermata anche più avanti (cap. 20) ed
è una dottrina sostenuta un po' ovunque nel Corpus Hermeticum.
28 Concezione che torna in C.H. X, 2 («La volontà è l'opera
di lui»); XIII, 19 («La tua volontà proviene da te e va verso di te, che sei il
tutto»), in Clemente Alessandrino, Pedagogo (I, 6, 27: «La sua volontà è
l'opera, e questa si chiama 'mondo'»), in Firmico Materno, Mathesis V praef 3
(Nock-Festugière).
29 Dio è visibile nella contemplazione della bellezza
dell'universo: questa è un'altra dottrina propria della corrente cosiddetta
'ottimista' dell'ermetismo (cf. C.H. IV, 2; V, 3-5; XI, 6- 8; 22; XIV, 4;
sopra, pp. 34-37.
30 Cf. sopra, n. 28
31 Cf. sopra. n.15 e 21.
32 L'uomo è un terzo dio, perché, come si legge al cap. 6, è
fatto ad immagine di dio, in fondo non diversamente dal mondo.
33 L'uomo, microcosmo, è ornamento del mondo, macrocosmo, e
viceversa: questo è detto anche in C.H. IV, 2: «Il demiurgo ha inviato sulla
terra, come ornamento di questo corpo divino, l'uomo, vivente mortale ornamento
del vivente immortale».
34 Che l'uomo sia immagine di dio non è dottrina solamente
biblica, ma anche dell'ermetismo (per l'ermetismo, però, l'uomo, essendo
microcosmo, può essere anche immagine del mondo): C.H. I, 12 («L'uomo era molto
bello, perché riproduceva l'immagine del Padre»); VIII, 5 («Il terzo essere
vivente, cioè l'uomo, fatto a immagine del mondo, possiede per volontà del
Padre l'intelletto, a differenza di tutti gli altri esseri che sono sulla
terra»); XI, 15 («Così l'eternità è immagine di dio, il mondo immagine dell'eternità,
il sole immagine del mondo, l'uomo immagine del sole»). Alcuni studiosi hanno
pensato che l'ermetismo sia stato influenzato dal famoso passo di Gen 1,26.
35 Cioè solo fino a questo punto deve adattarsi alla sua
condizione di uomo.
36 Una dottrina che ebbe origine nel Fedone platonico (cf.
62b), ma poi si diffuse ampiamente nella cultura platonizzante dell'età
imperiale.
37 Cioè in corpi di animali, e non più di uomini. Che la
metempsicosi potesse avvenire anche in corpi non umani era una questione che fu
oggetto di discussione nel neoplatonismo: Porfirio, ad esempio, negava questa
possibilità.
38 La vera filosofia, infatti, è sostanzialmente la pietas,
la devozione per dio.
39 Una polemica contro le scienze umane, questa, che colloca
l'ermetismo ben lontano dalla filosofia dell'epoca. E si noti che lo scrittore
ermetico, contraddicendosi, poco oltre ammette invece la legittimità del
coltivare la musica qui in terra, quale imitazione della musica delle sfere
celesti.
40 È la dottrina della musica delle sfere, che è la più
bella. Tale dottrina fu proposta da Platone (Timeo 36d-37a), e poi ripresa
dalla tradizione aristotelica e pitagorica. Si legga, nella cultura latina, il
Somnium Scipionis di Cicerone.
41 La curiosità era considerata un atteggiamento
contrastante con il vero sentimento religioso. Abbiamo attestazioni di questa
convinzione sia in ambito pagano (essa pervade le Metamorfosi di Apuleio) sia
in ambito cristiano (ad esempio, nel De praescriptione haereticorum di
Tertulliano).
42 'Imperfetto cosmogonico', come lo definiscono
Nock-Festugière, che rimandano ad espressioni analoghe del C.H. (I, 4; III, 1)
ed Estratti da Stobeo IX, 1.
43 Precedentemente (nota 8), come si è visto, la materia era
resa con mundus.
44 Questa è la traduzione del greco pneuma, comunemente reso
con 'spirito' nei testi biblici e cristiani. Questa cosmogonia ermetica
assomiglia a quella biblica, così come la concezione dell'uomo creato come
immagine di dio.
45 Cf. sopra, cap. 2.
46 Affermazione difficile a comprendersi. Nock e Festugière
spiegano: «Ogni generazione presuppone la divisione degli esseri, la quale
implica a sua volta l'esistenza dello spazio; e siccome lo spazio in tal modo è
preesistente agli esseri divisi, e quindi al loro accoppiamento e alla
generazione che ne consegue, esso di necessità è non generato. Lungi dal-l'essere
il prodotto di una generazione in senso pieno, esso è per eccellenza il
generatore». Che queste siano le caratteristiche dello spazio è detto anche più
oltre, al cap. 17.
47 Quindi la materia può produrre sia il bene sia il male. È
una posizione più moderata rispetto a quell'altra, più radicale, che vede nel
mondo 'la pienezza del male' (C.H. VI, 39); altre affermazioni analoghe si
leggono in quella che la Sfameni Gasparro chiama 'tendenza pessimistica'
dell'ermetismo (cf. sopra, pp. 34 ss.).
48 Questi concetti tornano altre volte nell'Asclepius per
indicare le doti essenziali della realtà divina, 'sostanziale', dell'uomo: cf.
capp. 6; 22; 32.
49 Affermazione completamente slegata dalla precedente.
50 Cioè il mondo.
51 «Una massa serrata» traducono Nock e Festugière; sopra,
però (cap. 3), il termine qui usato (frequentatio) era stato da noi tradotto
con 'effluvio', sulla base di quanto richiesto ivi dal senso del passo.
52 Lo scrittore unisce qui due concezioni molto diverse tra
di loro. Da una parte il mondo, in quanto è una sfera, non è mai visto nella
sua totalità, per la ragione indicata nel testo; dall'altra, la materia è
invisibile in sé e diviene 'visibile in un certo senso' solo a causa delle
forme che vi si imprimono (Nock-Festugière).
- 53 I Greci ritenevano che l'Ade, cioè gli inferi,
costituisse il mondo sotterraneo: quindi, per lo scrittore ermetico, la parte
bassa della sfera terrestre. La etimologia che faceva derivare l'Ade dal verbo
idein con l'alpha privativo (a-idein) era comune, ed era stata proposta per
primo da Platone (Cratilo 404b; Gorgia 493b). Lo scrittore ermetico aggiunge
qui la etimologia di idea dallo stesso verbo idein, cioè 'forme visibili' (le
forme preesistenti erano, invece, chiamate eide).
54 Spiegazione che risale, evidentemente, al traduttore
latino del Logos teleios.
55 In quanto esso è materiale e l'anima, forza vitale, è
materiale anch'essa.
56 L'inframmettersi della terra tra la cosa e il sole
provoca la notte, l'inframmettersi della luna provoca l'eclisse.
57 Gli dèi appartengono alla realtà intellettuale sia
secondo Plotino (Enneadi III, 5,6) sia secondo Giamblico (I misteri dell'Egitto
I, 15).
58 Tutto questo paragrafo ci è giunto, nella tradizione
manoscritta, in cattive condizioni, e noi seguiamo l'interpretazione del
Festugière (Hermétisme et mystique païenne, Aubier-Montaigne, Paris 1967. pp.
121-130). Innanzitutto, questa sostanza che ha un capo è la sostanza degli dèi
sensibili, la quale dipende da un dio intelligibile, come si andrà a vedere
immediatamente dopo. Il dio che è capo della sostanza del dio sensibile è
chiamato ousiarches. Secondo una concezione che troviamo diffusa in vari testi
di carattere filosofico-religioso, come gli Oracula Chaldaica, il Trattato sui
misteri dell'Egitto di Giamblico, il Trattato sugli dèi e gli uomini di
Salustio, si instaura una distinzione, e, insieme, una corrispondenza precisa,
tra gli dèi intelligibili superiori al mondo e gli dèi sensibili che sono nel
mondo. A loro volta, gli dèi cosmici sovrintendono alle sfere celesti, dalle
quali dipendono i demoni, e quindi gli uomini, in modo che tutta la realtà sia
una e compatta. Si ottiene quindi una catena verticale. In questo passo
dell'Asclepius, quindi, ad una serie di dèi ousiarchi ipercosmici, e cioè
Giove, la luce, Onniforme, il destino o heimarmene, corrisponde una serie di
dèi cosmici, e precisamente il cielo, il sole, i trentasei decani delle stelle
fisse, le sette sfere del mondo in divenire che sottostanno al destino e infine
l'aria.
59 Nel senso che essi sono composti di una parte materiale,
e insieme, sono di natura intellettuale.
60 Testo guasto e di impossibile ricostruzione.
61 Dio è privo di nomi, come aveva affermato anche
Lattanzio, Istituzioni divine I, 6,4 e IV, 7,3 (vedi sopra, p. 63); C.H. V, 1;
9; 10.
62 Definizione stoica della parola (cf. Stoicorum Veterum
Fragmenta I, 74): definizione materialistica, conforme alle concezioni proprie
di quella scuola filosofica.
63 Anche questa definizione, che corrisponde a quella del
dio privo di nomi, è tipica dell'ermetismo: cf. C.H. V, 10.
64 Dio è maschio e femmina insieme: dottrina tipica
dell'ermetismo, e diffusa nella cultura tardoantica, come si può leggere in
C.O. Tommasi, L'androginia di Cristo-Logos: Mario Vittorino tra platonismo e
gnosi, «Cassiodorus» 4 (1998), pp. 11-46; L'androginia divina e i suoi
presupposti filosofici: il mediatore celeste, «Studi Classici e Orientali» XL
VI, 3 (1998), pp. 973-998.
65 Dio crea per effetto della sua bontà, come si è letto al
cap. 8. Il Bene è, nella sua sostanza, creatore, si legge in C.H. X, 3. 12 21.
66 L'atto sessuale è un 'mistero', perché simboleggia
l'unione dell'anima con dio, osservano Nock e Festugière; anche il Magris (op.
cit., pp. 450-451) sottolinea la funzione religiosa della sessualità nello
gnosticismo e nelle correnti religiose affini.
67 Cf. anche sopra, cap. 7.
68 Questi dèi così descritti sarebbero gli dèi-astri.
69 Secondo Nock e Festugière, questa idea, della superiorità
dell'uomo sugli dèi, era già implicita nella morale stoica.
70 Cioè le statue, le quali erano considerate dagli antichi
non un'immagine della divinità, ma il luogo in cui risiedeva la divinità
stessa, e, di conseguenza, realtà divine anch'esse. Se così non fosse stato,
non si comprenderebbe la tenacia con cui i Cristiani sempre si rifiutarono di
rendere onore alle statue degli dèi. Essi comprendevano che tale onore era reso
direttamente agli dèi che erano davanti ai loro occhi. Il passo è
particolarmente importante. Se l'uomo, come è evidente, è in grado di fare delle
statue, ne consegue che è anche in grado di fare degli dèi: solo che è
necessario, come si leggerà più avanti, al cap. 37, che per questa 'creazione'
degli dèi l'uomo impieghi degli strumenti ben precisi. È, questa, una
dichiarazione di fede nella magia, che sarà non poco imbarazzante per gli
ermetisti cristiani del Rinascimento, quando si accosteranno all'Asclepius in
vista della elaborazione di una concezione che congiunga la rivelazione
ermetica alla rivelazione cristiana.
71 Cf. l'esclamazione di prima, cap. 6.
72 Ancora le statue: esse hanno una parte materiale ed una
parte divina, di carattere intellettuale.
73 Le statue sono, infatti, antropomorfe.
74 Il passaggio è sicuramente brusco. Si può intendere che
Ermete, il quale sta parlando in un tempio dell'Egitto, passi a illustrare,
dopo le statue, che sono immagini degli dèi, la natura dell'Egitto, che è
l'immagine del cielo, ed è abitato anch'esso da numerosissimi dèi.
75 Inizia qui la cosiddetta 'apocalissi', o rivelazione sul
futuro dell'Egitto. Come essa debba essere interpretata, lo si è discusso a pp.
107 ss.
76 Probabile allusione polemica al 'culto dei morti',
introdotto proprio in quei tempi (tra il terzo e il quarto secolo d.C.) dai
Cristiani nelle regioni dell'impero.
77 Che è l'atteggiamento tipico dell'uomo, e ancor più
dell'ermetista, come si è osservato più volte.
78 È, appunto, la filosofia ermetica.
79 Espressione controversa, come si è detto sopra (p. 76):
si dovrà intendere che il demiurgo, reggitore dell'universo, è dio, ed è un dio
unico.
80 La volontà di dio è bontà, come è stato detto più volte
(cf. cap. 20).
81 Questi dèi, evidentemente, non sono da identificarsi con
il Giove ipercosmico del cap. 19, ma sono due dèi cosmici. Può sembrare strano
il riferimento, qui, a Plutone, dio degli inferi, ma esso è confermato non
solamente da un passo di Cicerone (De natura deorum II, 66: «terrena autem vis
omnis atque natura Diti patri dedicata est terris»), come propone il Nock, ma
anche da quanto dice il Mahé (Hermès en Haute-Égypte cit., II, pp. 250-251).
Facendo riferimento agli studi dell'archeologo Gilbert Charles-Picard, il Mahé
osserva che questo passo tradisce il sincretismo, tipico della cultura
africana, tra Giove, Saturno e la divinità locale Baal-Hammon. Terribile
signore dell'Africa, Saturno aveva un carattere triste e tirannico. La sua
durezza e la sua ricchezza gli permettevano di governare la fecondità della
terra, e anche di essere identificato con Plutone, il dio dei morti e degli
inferi, con il quale egli aveva in comune l'attributo di frugifer. Di
conseguenza, osserva il Mahé, se accettiamo l'ipotesi che l'Asclepius sia un
adattamento, realizzato in Africa, del Logos teleios, è evidente che Giove
Plutonio non può essere altro che un aspetto del Saturno africano. Ma è
significativo, a nostro avviso, che anche Arnobio, africano come il traduttore
del Logos teleios, conosce questa interpretazione di Plutone come colui che
versa il seme nella terra, e quindi la fa fruttificare (cf. Adversus nationes
V, 32 ss.).
82 Quale sia questa città, è stato oggetto di congettura da
parte degli studiosi (Cirene, Alessandria d'Egitto). Ma hanno ragione Nock e
Festugière a osservare che questa 'città ideale' è un tema comune
dell'apocalittica, analogo a quello cristiano della 'Gerusalemme celeste'.
83 È interessante questo dettaglio, che si trova anche nella
apocalissi descritta da Lattanzio (Istituzioni divine VII, 17,10): «Allorquando
avverranno queste cose, allora i giusti e i ricercatori della verità si
separeranno dai malvagi e fuggiranno nei deserti sul monte in cui si
stabiliranno i giusti» (Nock e Festugière).
84 Ciò sta a significare che questo 'numero degli anni' era
stato fissato dal destino, come si legge in Macrobio, Commento al Sogno di
Scipione I, 13,11: «Si sa che un conteggio di numeri preciso e determinato
congiunge l'anima al corpo» (Nock e Festugière).
85 È il daemoniarches, che troviamo anche in Lattanzio
(Istituzioni divine II, 14,6) (cf. sopra, p. 75). Questo summus daemon ha le
funzioni di giudice, e, secondo Nock e Festugière, la concezione di questo
demone giudice potrebbe derivare dall'Iran. Sarebbe, dunque, da identificarsi
con Mitras, supremo intermediario tra dio e gli uomini, genio della luce. È
interessante osservare anche che dopo il giudizio le anime dei giusti rimangono
nell'alto, il che sta a significare che il 'paradiso' è inteso come un luogo
elevato e gli inferi sarebbero la regione sublunare dell'aria, come pensavano i
pitagorici.
86 Un passo emblematico dell'ermetismo. e che è stato citato
anche da Lattanzio (Istituzioni divine II, 15,6) e da Cirillo di Alessandria
(Replica all'imperatore Giuliano II, P.G. LXXVI, 701A), cf. pp. 73 e 101.
87 È, questa, una
testimonianza del culto del sole, molto diffuso nella tarda antichità. Nel
Corpus Hermeticum il culto del sole, dispensatore della vita, torna anche in
XVI, 4-5; 8-9.
88 Questo dio non può
essere altri che il dio supremo, come osservano Nock e Festugière: del resto,
del secondo dio, che è il mondo, non si può dire che sia il reggitore delle
cose che sono nel mondo.
89 È introdotto qui il concetto di aeternitas o αἰών,
secondo dio, di cui si è parlato a pp. 143 ss.
90 Cf. C.H. XI, 2: «Il mondo è nell'eternità e si muove
nell'eternità». Tutto questo capitolo dell'Asclepius discute i medesimi
problemi di quel trattato ermetico. Questo concetto del 'mondo presente entro
l'eternità' non si amalgama bene, a dire il vero, con i precedenti.
91 Questa medesima funzione del 'muovere il mondo
dall'esterno' è svolta, in quel trattato del C.H. (XI, 4) dall'anima cosmica
(il che appare ancora più difficile a intendersi). Bisogna immaginare, dunque,
una identificazione tra aeternitas e anima cosmica.
92 Il tempo era, fin dai tempi della distinzione platonica
tra tempo ed eternità, enunciata nel Timeo (37a ss.), condizione precipua della
realtà in divenire. Lo scrittore ermetico, qui, sembra conoscere questa
concezione platonica, ma vuole ottenere un accordo tra la funzione del tempo,
che è mobile, e quella dell'eternità, che è fissa. Il tempo e la realtà in
divenire sono nella terra e nel cielo, si legge in C.H. XI, 2 e XI, 4.
93 Cf. lo stesso concetto in Cirillo d'Alessandria, Replica
a Giuliano imperatore I, 43 (P.G. LXXVI, 549C) (fr. 25 Nock-Festugière).
94 La stabilità è attribuita all'Intelletto divino in C.H.
II, 12, e all'Uno in C.H. X, 14.
95 «L'eternità sta ferma attorno a dio», si legge in C.H.
XI, 2.
96 Così come il tempo, secondo Platone (Timeo 38c) è
l'immagine dell'eternità. Il concetto è ulteriormente sviluppato (o meglio,
ripetuto fino alla sazietà e con notevole prolissità) nel corso di questo
capitolo.
97 Cioè l'intelletto divino, nel quale si assommano i vari
intelletti parziali. A questo intelletto seguono, in ordine decrescente, quello
del mondo e quello dell'uomo.
98 Espressione emblematica dell'ermetismo: la luce della
conoscenza è la gnosi. Essa torna anche nell'ultimo capitolo dell'opera, tra i
doni che il dio si è degnato di donare al perfetto.
99 Il testo latino così suona: «Hoc autem differt
intellectus a sensu». In base a quanto viene detto dopo, Nock e Festugière
intendono per intellectus l'intelligenza umana e per sensus l'intelletto del
mondo.
100 Esso lo era, ad esempio, per la filosofia epicurea.
101 Cf. C.H. II, 10«Nessuna delle realtà esistenti è vuota».
102 Secondo Nock e Festugière, qui lo scrittore ermetico
farebbe riferimento polemico agli stoici, i quali negavano l'esistenza del
vuoto all'interno del mondo, ma lo ammettevano all'esterno di esso. Il problema
è discusso anche in C.H. XI, 19.
103 Una concezione comune nella demonologia platonica
dell'età imperiale: questi esseri mediatori tra dio e l'uomo stanno, in
conformità con la loro natura, nel mezzo tra il mondo (che comprende anche
l'aria) e il cielo. Lo affermano, tra gli altri, Apuleio, Il dio di Socrate 6 e
Giamblico, I misteri dell'Egitto, passim.
104 Anche C.H. II, 11: «Dunque, tutte le cose che tu chiami
vuote sono piene di aria».
105 Ripetizione di quanto è stato detto sopra, capp. 3 e 17,
così come la nuova affermazione dell'unità del tutto in dio.
106 Una formula del linguaggio religioso, per la quale gli
studiosi hanno trovato dei paralleli in Rm 11,36; Gv 1,3. Su tali formule si
sofferma a lungo E. Norden, Agnostos Theòs cit., pp. 240 ss. e 347 ss.
107 Una nuova ripetizione: cf. sopra, cap. 4.
108 Il circolo dello zodiaco, cf. sopra, cap. 19.
109 C.H. IX, 7: «La velocità del movimento del mondo produce
la varietà di questa e quella origine».
110 L'argomento su cui si torna a parlare è quello della
creazione delle statue degli dèi ad opera dell'uomo, come si è già visto sopra
al cap. 23. Per questo motivo anche i capitoli 37 e 38, dedicati alla magia con
cui l'uomo crea gli dèiidoli, furono oggetto di forte critica da parte di
Agostino (La città di Dio VIII , 24) e imbarazzarono grandemente un platonico
ed ermetista cristiano come il Ficino (cf. pp. 212 ss.).
111 Essi pensarono che natura del dio fosse costituita dalla
statua entro la quale egli si cela e con la quale si confonde.
112 Cioè i riti sacri, nei quali furono impiegati quelle
spezie e quegli aromi elencati brevemente all'inizio del cap. 38.
113 È il dio Asclepio, considerato dai Greci scopritore
della medicina.
114 Questo tempio sarebbe collocato, secondo gli studiosi,
nella città di Arsinoe o Crocodilopolis.
115 Da cui discende l'anima di tutti gli uomini, come
sosteneva la tradizione platonica; cf., nella cultura latina, Cicerone, Il
sogno di Scipione 3, 13 (ove si parla del 'ritorno al cielo').
116 Un dettaglio interessante, che tuttavia non è attestato
frequentemente: alcuni testi sdoppiano il personaggio di Ermete Trismegisto,
nell'avo, personaggio divino, e nel profeta, autore della rivelazione ermetica.
Il dio, dunque, sarebbe Thoth, secondo il Fowden (op. cit., p. 29), ed il
secondo avrebbe una chiara dimensione umana. Questo sdoppiamento di Ermete
significherebbe, secondo lo studioso, l'esistenza di una rivelazione divina
nella lingua egiziana, ed una sua trasposizione nella lingua greca (p. 31).
117 Cioè Hermoupolis, anche se, in Egitto, esistevano varie
città con quel nome.
118 Che Iside fosse una dea benefattrice dell'umanità era
una convinzione diffusa nell'Egitto ellenistico e attestata anche dalla
esistenza di alcune anonime 'aretalogie di Iside', di testi anonimi contenenti
l'elenco delle sue imprese e l'invocazione alla dea nelle sue varie
prerogative.
119 Una realtà ben
nota, quella degli animali sacri, dedicati, in Egitto, alle varie divinità e
manifestanti la loro presenza in terra. In quanto collegati agli idoli, anche
questi animali (il bue Api, il cinocefalo, lo sparviero etc.) erano oggetto di
derisione da parte degli scrittori cristiani, che interpretavano la religione
egiziana come pura e semplice superstizione.
120 Sono gli 'dei parziali' dei quali parla anche il Timeo
(41a), ma che, in fondo, anche la religione tradizionale conosce, attribuendo
al singolo dio una specifica proprietà.
121 Il passaggio a questo nuovo argomento è sicuramente non
meno brusco di altri. La trattazione della heimarmene o destino sente un forte
influsso dello stoicismo, il quale si era a lungo dedicato a questo argomento.
122 Anche nello stoicismo si trovava l'identificazione tra
destino e dio, in quanto sia l'uno sia l'altro costringono tutte le cose alla
loro realizzazione (cf. Stoicorum Veterum Fragmenta II, 912-933).
123 È la necessità cosmica, che si identifica
sostanzialmente con la heimarmene, sia nello stoicismo (cf. Stoicorum Veterum
Fragmenta II, 934 ss.) sia nella generale coscienza linguistica dei Greci.
124 Terza entità connessa con le due precedenti anche per
gli stoici: cf. SVF II, 921.
125 Questo rituale, che si svolge alla conclusione del logos
ermetico di istruzione, è stato spiegato dal Festugière (La révélation etc.
cit. IV, pp. 244 ss.), il quale osserva che è di prammatica, nei testi
ermetici, concludere l'insegnamento di salvezza con un inno. Tale inno richiama
tutti i particolari della tradizione ermetica. Ad esempio, nel Poimandres (I,
29) si legge: «Fattosi sera e cominciando a tramontare il raggio del sole, li
invitai a rendere grazie al dio». La preghiera stessa deve seguire delle norme
rituali. Lo si ricava da un passo di C.H. XIII, 16: «Così, dunque, o figlio,
stando in piedi nel luogo sotto il cielo e con la faccia rivolta al vento del
meridione, pronuncia la tua preghiera al calar del sole; la stessa cosa farai
al sorgere del sole, volgendoti verso il vento dell'oriente». D'altra parte,
l'abitudine di pregare il sole la mattina e la sera è antica: si trova già nel
Simposio platonico (220d), ove è attribuita a Socrate, e nelle Leggi (887e),
pure di Platone. Più tardi, si possono leggere le testimonianze di Filostrato
(Vita di Apollonio di Tiana II, 38; VI, 10; VII, 31; VIII, 13) e di Giamblico
(Vita di Pitagora 256) (passi ricordati da Nock e Festugière). Infine lo stesso
ringraziamento che si legge nella parte conclusiva dell'Asclepius ha un suo
parallelo in C.H. XIII, 17.
126 Era stata una affermazione anche di Apollonio di Tiana,
come la si legge in Eusebio, Preparazione del Vangelo IV, 13 (e cf. le nostre
osservazioni in: La Vita di Apollonio di Tiana di Filostrato e la cultura
filosofica e religiosa dell'età severiana, in: Biografia e agiografia nella
letteratura cristiana antica e medievale, a cura di A. Ceresa-Gastaldo, EDB,
Bologna 1990, pp. 43-63, pp. 47-48).
127 Cf. C.H. XIII, 19: «Per mio mezzo, o Tutto, ricevi con
la parola il sacrificio immateriale». Il concetto di 'sacrificio immateriale'
era tipico anche del cristianesimo fin dalle sue origini.
128 Su questa
preghiera di ringraziamento cf. quanto abbiamo osservato a pp. 120 ss.
129 Cf. C.H. XIII, 8 («Venne a noi la gioia della
conoscenza») e 18 («Gioisco della gioia dell'intelletto»).
130 Che la gnosi sia salvezza è concezione tipicamente
ermetica (oltre che dello gnosticismo in generale): cf. C.H. X, 15 («Questa
cosa soltanto è salutare, la conoscenza di dio»); I, 26 («Affinché l'intero
genere umano sia salvato da dio»); 29 («Come saranno salvati?»); IX, 5
(«salvati da dio») etc.
131 Cioè diventare dio, che è il culmine della perfezione
umana, secondo l'ermetismo (cf. I, 26; IV, 7; XIII, 10).
132 La devozione consiste nella conoscenza di dio (C.H. X,
4), un concetto che si è incontrato più volte.
133 Questa espressione è stata esaminata da M. Philonenko (O
vita e vera vita, [Asclepius 41]. «Revue d'Hist. et de Philos. religieuses» 68
[1988], pp. 429-433). Luce e vita, osserva lo studioso, sono qui uniti come
frequentemente nel Poimandres e in C.H. XIII, 9; 18-19. Anche i concetti di
'grembo pregno' e di 'permanenza eterna' si trovano nel Corpus Hermeticum: per
il primo, cf. C.H. XIII, 1, per il secondo C.H. XVI, 8 e Kore Kosmou 3. Di
conseguenza, l'espressione «o della vita vera vita» unisce i due concetti di
'vera vita' e di 'vita della vita', che si trovano anche in testi cristiani.
Suggestiva è l'ipotesi (ma non più che un'ipotesi) del Philonenko, che
Agostino, il quale aveva letto l'Asclepius, in Conf. VII, 2 dica «vita vitae
meae» (ma probabilmente la lettura dell'Asclepius è posteriore alla
composizione delle Confessioni).
134 L'ideale del vegetarianesimo era stato proclamato nella
tarda antichità da un platonico come Porfirio, che scrisse proprio un trattato
Sul doversi astenere dagli esseri animati.
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